30 misure cautelari, 2 cartelli di pompe funebri e un patrimonio sequestrato di 13 milioni di euro. Sono i numeri dell’operazione contro il racket delle pompe funebri a Bologna. Coinvolti anche dipendenti di Sant’Orsola e Maggiore che prendevano provvigioni per indirizzare i parenti dei deceduti verso le società dei cartelli. Un fenomeno diffuso in tutta Italia, che rivela come il crimine punti al business senza guardare in faccia alla morte.

È stata un’operazione consistente quella che stamattina ha visto impegnati 300 agenti a Bologna. I carabinieri hanno smantellato due cartelli di imprese funebri che si spartivano il mercato arrivando al monopolio dei servizi funebri in città. Per farlo, avevano costruito una consolidata rete che coinvolgeva alcuni dipendenti dei principali ospedali bolognesi, Sant’Orsola e Maggiore, a cui era affidato – sotto compenso – il compito di indirizzare i famigliari delle persone decedute verso le società appartenenti alla rete ritenuta criminale.

I NUMERI DELL’OPERAZIONE
Sono 30 le misure cautelari eseguite questa mattina: 9 arresti, 18 arresti domiciliari e 3 divieti di esercizio di impresa. Complessivamente sono state eseguite 43 perquisizioni, che hanno portato ad un sequestro di un patrimonio del valore di 13 milioni di euro.
2 sono i cartelli paralleli che si spartivano il mercato facendo attenzione a non entrare in competizione e complessivamente sono 6 le imprese funebri coinvolte nell’inchiesta. Dai 200 a 350 euro, invece, erano le “provvigioni” illegali che le imprese pagavano ad infermieri e dipendenti delle camere mortuarie per ogni funerale che veniva realizzato attraverso l’indirizzamento dei famigliari del defunto verso le società del cartello.

IL FUNZIONAMENTO DEL RACKET
Le principali accuse che gli inquirenti rivolgono agli indagati sono corruzione e riciclaggio. In particolare, secondo la Procura, le imprese funebri accantonavano ingenti quantità di denaro in un conto che fungeva da cassa occulta e veniva riempito attraverso false fatturazioni e pagamenti in nero. Risorse che servivano a “ungere” i dipendenti degli ospedali, che nell’associazione criminale ricoprivano il ruolo di “commerciali”, suggerendo ai parenti delle persone decedute a quale società rivolgersi. Dalle intercettazioni su queste attività emergerebbe anche un dileggio delle salme da parte di alcuni dipendenti.
In cima alla piramide, secondo gli inquirenti, c’erano i titolari della Rip Service srl e della Cif Service srl, entrambi finiti in manette.

UN FENOMENO DIFFUSO IN TUTTA ITALIA
L’inchiesta di Bologna è solo l’ultima ad aver alzato il velo su un fenomeno diffusissimo in tutta Italia. Solo negli ultimi anni inchieste simili si sono registrate a Padova, Milano, Roma, Napoli, Sardegna e altre città del sud.
In generale, secondo diverse stime, il giro d’affari delle onoranze funebri in Italia va dagli 1,7 miliardi ai 3,5 miliardi di euro all’anno. Un vero e proprio business che fa gola, al punto da indurre alcune imprese a mettere in piedi vere e proprie reti criminali, come quella sgominata oggi a Bologna.
Per il Codacons sarebbe necessario effettuare controlli in tutti gli ospedali italiani. L’associazione di consumatori, in particolare, sostiene che la pratica sia molto diffusa in tutta la penisola e, considerando una media di costo per funerale pari a 2.500 euro, è giusto controllare per verificare se i diritti dei consumatori vengono in qualche modo lesi.

SICURAMENTE CRIMINALE, NON MAFIOSO
Data la diffusione del fenomeno, abbiamo interpellato Daniele Borghi, referente regionale di Libera, per comprendere se in queste attività criminali è ravvisabile lo stampo mafioso.
“Noi non eravamo a conoscenza di questo genere di attività – spiega Borghi – Se in generale è vero che la mafia cerca di occupare tutti i settori dove si fanno affari, non ci risulta che sia coinvolta nel business delle onoranze funebri. Sicuramente si tratta di un’organizzazione criminale, perché erano coinvolte decine e decine di persone, ma non ci risulta sia di stampo mafioso”.

LE REAZIONI DELLA POLITICA
La notizia dell’operazione giudiziaria e dell’inchiesta sul racket delle pompe funebri ha prodotto anche reazioni di rappresentanti delle istituzione e della politica. Dalla Regione è intervenuto l’assessore alla Sanità Sergio Venturi, che ha affermato: “È un fatto molto grave. Grazie alla Magistratura e alle Forze dell’ordine per l’impegno a far emergere situazioni che, se confermate, sono assolutamente in contrasto con le linee guida che da tempo abbiamo diramato”. Il riferimento è alle indicazioni diramate nel marzo dell’anno scorso da Viale Aldo Moro a tutte le Aziende sanitarie su come comportarsi quando muore un paziente, per garantire correttezza e trasparenza reciproca nei rapporti tra familiari, operatori sanitari e pompe funebri.
Polemica, invece, è la reazione del M5S in Regione che, attraverso la consigliera Silvia Piccinini, si domanda: “Il sistema anti-corruzione non ha funzionato. Perché Regione e Ausl non si sono mai accorti di nulla?”.

ASCOLTA L’INTERVISTA A DANIELE BORGHI: