Nel praticare sia l’ambito cinematografico, per il quale è stato principalmente famoso, sia l’ambito concertistico, al contrario ingiustamente negletto, come in un grande compositore nostrano, si sia avuta una reciproca e proficua influenza dei 2 registri espressivi.

Nino Rota (1911-1979), noto soprattutto per le sue musiche da film e per il sodalizio con Federico Fellini, manteneva le medesime caratteristiche stilistiche di franca comunicativa, anche quando passava alla musica pura (non era peraltro l’unico caso fra i suoi colleghi), con talvolta temi musicali che trasmigravano dall’una all’altra categoria (la qual cosa, talvolta procurava grattacapi al compositore), come si capirà dalle puntate del 7 e del 14 marzo, in cui se ne avranno alcuni esempi, specificatamente per quello che riguarda i brani per strumento solista ed orchestra.

Nella prima delle 2 puntate marzoline dedicate a Rota, verranno trasmessi i 2 concerti per violoncello ed orchestra, per così dire “ufficiali”. Affermo ciò, in quanto, per limiti di tempo, non si potrà ascoltare, purtroppo, pure il breve concerto, riscoperto nel 2011, per violoncello ed orchestra in un solo movimento (allegro moderato), lavoro adolescenziale composto da un Rota quattordicenne nel ’25 e che già contiene in nuce i tratti caratteristici del suo stile, nato probabilmente nel salotto casalingo, frequentato, fra gli altri, dal celebre violoncellista Enrico Mainardi. Anche i 2 lavori più tardi, autentici capolavori dei quali fino ad adesso ne esistono soltanto 3 incisioni discografiche, peraltro, sono stati riscoperti in epoca recente, ossia nel 2000.

Il primo, del ’72, nasce nel medesimo anno delle musiche per il film “The Godfather” (“Il Padrino”) di Francis Ford Coppola, il cui successo gli procurò una marea di problemi legali ed amministrativi, culminati con l’esclusione dal Premio Oscar, in quanto il famoso tema d’amore era già stato da lui utilizzato anni prima e, se da un lato questo lo salvò dall’accusa di plagio, ne causò l’esclusione dal premio, in quanto il regolamento non ammette che anche una minima porzione, sia già stata usata in precedenza (e non era certo il primo degli autoimprestiti che il compositore si concedeva). Nonostante ciò, in aggiunta all’attività presso il Conservatorio Piccinni di Bari, riuscì a trovare il tempo per scrivere un lavoro che, a quasi un cinquantennio di distanza da quello adolescenziale, dimostra la sua empatia verso uno strumento da lui molto apprezzato per le spiccate doti cantabili, tant’è che, fra il ’73 ed il ’74 ne realizzerà un altro.

Quest’ultimo si apre, singolarmente, con uno spunto tematico mediato dal concerto per violino ed orchestra n.3 in sol magg., KV216, di Mozart, inteso non come mera citazione, ma in quanto reminiscenza liberamente accettata e successivamente sviluppata in maniera decisamente personale. Ambedue i lavori, seguono la classica struttura tripartita.

Nella puntata successiva, verrà trasmesso, all’inizio, il suadente e raffinato concerto per arpa ed orchestra (1947-50), eseguito in prima assoluta dalla dedicataria Clelia Gatti Aldrovandi (anche Ildebrando Pizzetti le dedicò un analogo lavoro) con l’Orchestra Sinfonica della Rai di Torino diretta da Carlo Maria Giulini, il 9 marzo 1951, all’Auditorium. Seguirà il variegato concerto per fagotto ed orchestra, che termina con un tema con variazioni, composto fra il ’74 ed il ’77, nel periodo di massima sfortuna critica del compositore, con gli esegeti che lo consideravano ‘inattuale’, composizione che ebbe il suo battesimo nello stesso ’77 al Festival di Lanciano e pubblicato dall’editore Bèrben d’Ancona. Si conclude col brillantemente vivido concerto per trombone ed orchestra (sia pure ad organico ridotto, ossia archi, 6 legni e 2 corni), tripartito come i lavori che lo precedono, del ’66, con prima assoluta alla Sala Grande del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, con solista il dedicatario Bruno Ferrari assieme all’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, diretta da Franco Caracciolo, il 6 maggio del ’69.

Postludio: che il tempo abbia reso finalmente giustizia a questo compositore definito ingiustamente dagli oltranzisti ‘inattuale’? Sì e no: se a livello discografico c’è stato un sensibile progresso (ma soprattutto per i lavori teatrali si potrebbe ancora far qualcosa) rispetto ad alcuni lustri fa, in sala da concerto e nelle stagioni liriche, resta ancora parecchio da fare, sicchè il nome di Rota resta tutt’oggi principalmente noto per le sue colonne sonore, il che non è propriamente il massimo, almeno così mi sembra…

Gabriele Evangelista