“Il cibo a basso prezzo è un’illusione, non esiste. Il vero costo del cibo alla fine viene pagato da qualche parte. E se non lo paghiamo alla cassa, lo paga l’ambiente. E la nostra salute.” Questa famosa frase del giornalista Michael Pollan riassume la consapevolezza che secondo Piero Riccardi, storico inviato di Report, ci manca quando decidiamo cosa mangiare.

Piero Riccardi ci parla di sostenibilità del cibo

Il cibo è quella parte dell’economia che non verrà mai meno. D’altronde possiamo smettere di comprare libri, dischi o vestiti, ma non possiamo certo smettere di mangiare. Per questo sarebbe importante che le scelte che ogni giorno compiamo in quest’ambito si basassero su consapevolezza ed informazione. Purtroppo spesso ci dimentichiamo del potere delle nostre decisioni, e cerchiamo di avere ciò che desideriamo al prezzo più basso possibile.

Ma il prezzo del cibo non è semplicemente quello che paghiamo alla cassa. È nell’ambiente in cui viviamo, nella nostra salute, nella fame degli altri. A questi temi Piero Riccardi, giornalista e inviato di Report dal 2000, ha dedicato numerose inchieste. “Oltre il 70% di ciò che mangiamo – racconta Riccardi ai nostri microfoni – passa attraverso la grande distribuzione. Ma la grande distribuzione ha bisogno di grandi numeri, e non guarda alle zone di provenienza dei beni. Incontriamo così il primo grande costo ambientale dei nostri consumi”.

Il costo ambientale non è l’unico connesso alla grande distribuzione e alla globalizzazione. Anche a livello sociale infatti la struttra globale del mercato alimentare ha fortissime ripercussioni, una tra tutte è la carenza di cibo nei paesi più poveri. ” Di cibo ce n’è – sottolinea infatti Riccardi – ma è distribuito molto male. Il mondo occidentale spreca ogni anno una quantità di cibo che equivale al pil della Svizzera, mentre 1 miliardo di persone è alla fame. Ma è un problema di accesso alle risorse, non di carenza. Per rendercene conto basta guardare gli scaffali sempre pieni dei supermercati. D’altronde anche quando vanno a coltivare in Africa, le compagnie occidentali lo fanno per produrre biocombustibili da rivendere in Occidente, perchè gli africani comunque non avrebbero soldi per comprare beni alimentari, perciò non avrebbe senso produrli”.

Il motivo per cui sarebbe importante che a guidare le nostre scelte fosse la consapevolezza è molto semplice secondo Riccardi. “Il ruolo del consumatore è molto importante – ribadisce infatti il giornalista – c’è una famosa frase di Wendell Berry, secondo cui il primo atto agricolo è mangiare. Nel momento in cui compriamo il cibo noi stiamo stabilendo che tipo di agricoltura vogliamo. Vogliamo l’agricoltura che deve inquinare o vogliamo un’agricoltura che sia il più possibile pulita per l’ambiente e per noi?”

La risposta sembra scontata, più difficile è capire cosa dovrebbe fare attivamente il consumatore.
Cercare cibo locale, di stagione e al di fuori della grande distribuzione – risponde Riccardi – e ricollegarci con la campagna che ci sta intorno. Ma per comprare di stagione dovremmo reimparare quali sono i cibi di stagione, perchè ormai ce lo siamo dimenticati, e cerchiamo in ogni momento dell’anno il cibo che ci piace. Ma un cibo fuori stagione è sempre costoso. Se non lo è direttamennte lo è per l’ambiente, perchè prodotto in serra o dall’altra parte del mondo. Infine, dovremmo ridurre il consumo di carne, perchè oltre a essere stato riconosciuto comme eccessivo e malsano in ambito sanitario è uno spreco pazzesco. Gli animali sono veramente un pozzo senza fondo, consumano alimenti e risorse che potrebbero essere usate per l’alimentazione umana. Ma in questo senso qualcosa sta già cambiando”.

Il nostro regime alimentare, così come siamo abituati a pensarlo oggi, appare chiaramente insostenibile. Le soluzioni proposte sono infinite, ma secondo Riccardi ce n’è una imprescindibile: “Le citta devono ricollegarsi alla propria campagna. La città dà dei servizi culturali, ricreativi, sociali. La campagna deve poter dare i suoi servizi alla città vicino. Invece molto spesso città e campagna non si parlano. È cruciale ripensare questo rapporto da un punto di vista urbanistico, sociale e politico, ricollegare la campagna alla propria città”.

Anna Uras