Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller nella regia di Massimo Popolizio riporta sulle scene la realtà del sogno americano degli italiani pre bum economico, in un 1955 in cui capitava che fossero gli immigrati italiani a New York ad essere al centro di articoli di cronaca nera. Popolizio, in duplice veste di regista e di Eddie Carbone, immigrato italiano che da tempo abita nel quartiere italoamericano di Red Hook con la moglie e la nipote diciottenne orfana, riesce efficacemente a rendere il dramma che si consuma nella casa del protagonista narrato dal punto di vista di un avvocato, anch’egli di origini italiane, ma da molto tempo in America, Alfieri, che impotente assiste al consumarsi di un’illogica passione che non riesce del tutto a condannare, nè a scusare, destinata, apparentemente quasi da un fato crudele, a ripetersi sconvolgendo altre comunità come quella di Red Hook.

All’origine del testo teatrale c’è un fatto di cronaca da cui Miller rimase turbato tanto da volerlo trasformare in un dramma. Il risultato fu una pièce teatrale che ha contato centinaia di repliche nei maggiori teatri d’America e d’Europa, collezionando premi come testo e portandone altri ai suoi più brillanti interpreti. In Italia la prima rappresentazione risale al 1958 a cura di Luchino Visconti copn attori del calibro di Paolo Stoppa, Rina Morelli, Corrado Pani, Ilaria Occhini. Raf Vallorne fu protagonista della regia parigina di peter Brook nello stesso anno e fu poi chiamato da Sidney Lumet a interpretare Carbone anche sugli schermi cinematografici nel celebre film del 1962.

A giudicare dal pezzi da novanta che hanno interpretato negli anni Eddie Carbone, è fin dal suo esordio, un personaggio su cui cimentarsi al pari di grandi eroi shakerspeariani, un uomo con luci e ombre, virtù, tratti di bontà e oscurità che lo trascinano alla rovina e alla morte, un perfetto banco di prova per attori che vogliano mostrare le proprie capacità di gicare con le tonalità forti così come con le sfumature di grigio.

Afferma Popolizio «Questo concetto di ineluttabilità del destino e di passioni dalle quali si può essere vinti e annientati è una “spinta” o “necessità” che penso possa avere ancora oggi un forte impatto teatrale. Per me è una magnifica occasione mettere in scena un testo che assomiglia molto ad una sceneggiatura cinematografica, e che, come tale, ha bisogno di primi, secondi piani e campi lunghi. Alla luce di tutto il materiale che ha potuto generare dal 1955 ad oggi, cioè film, fotografie, serie televisive, credo possa essere interessante e “divertente” una versione teatrale. Una grande storia… raccontata come un film… ma a teatro. Con la recitazione che il teatro richiede, con i ritmi di una serie e con le musiche di un film».

Il regista e attore della produzione della Compagnia Umberto Orsini, Teatro di Roma – Teatro Nazionale ed Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale effettivamente è riuscito a rendere teatralmente i primi piani sui singoli protagonisti del dramma come anche il campo lungo del quartiere di Red Hook con i lavoratori del porto indaffarati a caricare e scaricare navi, con i rumori dello sferragliare dei treni sul ponte che passa sulle teste dei personaggi del dramma, i suoni di campane, le canzoni dai giradischi della casa e i canti natalizi che risuonano nella notte di natale in cui si ha l’apice della vicenda. Luci e suoni hanno creato le atmosfere dello spettacolo, immettono gli spettatori in questa dimensione cinematografica trasportata sulla scena del Teatro Arena del Sole. Plauso a Gianni Pollini per i chiaroscuri, le messe a fuoco e le sfocature con le luci teatrali, vera ovazione per il suono dell’ ottimo Alessandro Saviozzi che riesce sempre incredibilmente a rendere gli spettacoli ricchi di suggestioni dando una profondità sorprendente alle rappresentazioni a cui lavora.

Le scene di Marco Rossi e i costumi di Gianluca Sbicca completano lo scenario in cui si muovono attori e attrici aiutandoli a dare credibilità ai loro personaggi. Tutto è perfetto, preciso, la realtà del luogo la vediamo, anche se è “solo” teatro e non ci sono realmente navi, folle di scaricatori, povere palazzine fitte di immigrati, nè i negozi del quartiere, non c’è davvero il treno, eppure lo vediamo attraverso luci e suoni, come dai mobili della piccola e dignotosa casa di Eddie Carbone riusciamo a immaginare il palazzo e le strade di Brooklyn.

Completano la messa in scena attori e attrici del cast che si muovono sulla scena come davanti a invisibili macchine da presa creando quella dinamica vitalistica che avremmo visto al cinema, usando i mezzi del teatro così come dalle intenzioni del regista. Accanto a Popolizio una bravissima Valentina Sperlì che interpreta beatrice, moglie di Eddie inizialmente affettuosa zia dalla parte della giovane Catherine che cerca la propria indipendenza nel lavoro di stenografa, poi diventa donna gelosa che tenta in ogni modo di allontanare la nipote diventata motivo di ossessione nella mente del marito tanto da impedirgli di essere ancora un vero marito per lei.

Gaia Masciale nella prima parte della rappresentazione risulta a tratti esagerata nel tentativo di muovere la scena rendendola dinamica. La sua Catherine risulta eccessivamente bambinesca ed esuberante nelle prime scene, fino all’incontro con i cucini di Beatrice arrivati clandestinamente dalla Sicilia. A quel punto il personaggio sembra trovare un equilibrio, il movimento scenico rimane vitalistico e segno di sbocciante giovinezza senza essere eccessivo.

Bravissimo Michele Nani nei panni dell’avvocato Alfieri, personaggio ponte tra le due culture rappresentate: quella italiana e quella americana, essendo lui stesso nato in Italia, ma da lungo tempo integrato nella società americana. Alfieri svolge la funzione di narratore e di coro greco, commentando in modo partecipato l’azione scenica, si fa portatore dell’opinione del poeta su Carbone che riconosce come gran lavoratori, brav’uomo eppure capace di puzzare di marcio come è capace di puzzare l’america del 25 dicembre pur agghindata di luci dorate. Carbone compie un’azione abbietta come quella di chiamare l’immigrazione denunciando i parenti della moglie ospiti clandestinamente nella sua stessa casa. Affronta la doppia onta sociale verso l’america che lo ospita, avendola tradita accogliendo in casa dei clandestini, verso la propria comunità di immigrati in cui non si possono tradire i propri cari, connazionali, i poveri cristi bisognosi di lavoro e speranzosi di sistemarsi, come lui stesso ha potuto fare, nella laboriosa realtà americana. Alfieri tenta di dissuadere Carbone dal perseverare nel coltivare la sua morbosa passione per la giovane nipote e più volte confessa al pubblico in un dialogo diretto la sua impotenza davanti all’inevitabilità del dramma che prevede senza poterlo fermare.

Credibili e divertenti Raffaele Esposito e Lorenzo Grilli rispettivamente i cucigi Marco e Rodolfo, il cui arrivo fa detonare la carica esplosiva della gelosia di Carbone. Garbatamente porgono gli stereotipi della rappresentazione dei siciliani immigrati nella grande america rappresentando l’uno il bravo padre di famiglia che non desidera altro che tornare dopo alcuni anni al paese per far vivere dignitosamente la propria famiglia e l’altro il giovane che vuole vivere il sogno americano partendo dal nulla per farsi una posizione nella nuova terra senza alcuna intenzione di tornare nella miseria del sud Italia appena lasciatasi alle spalle. La vicenda porterà in carcere entrambi destinati l’uno, Marco, al rimpatrio e l’altro, Rodolfo a restare negli Stati Uniti grazie al matrimonio imminente con Catherine. Marco però non intende tornare al paese senza aver raggiunto i suoi obiettivi dopo tanto sacrificio e preferisce vendicarsi uccidendo Eddie che lo ha denunciato all’immigrazione, condannandosi forse all’ergastolo o a pena di morte in quella terra dei sogni che doveva renderlo libero dalla miseria.

In tutto questo grumo di dolore emerge anche la condizione delle donne nell’America del dopo guerra che offriva alle giovani che si impegnavano negli studi, la possibilità di emenciparsi lavorando, così come poteva condannare a una vita triste, nell’ombra dei mariti della working class, le donne che si limitavano a svolgere il proprio dovere coniugale in ceti meno abbienti, concentrando i loro orizzonti nel desiderio di una tovaglia nuova e nel poter fruire almeno delle gioie dell’essere mogli con il proprio marito.

Uno sguardo dal ponte è sicuramente un’opera interessante, che è bene che torni sui palcoscenici italiani anche per ricordarci da dove veniamo, di quando eravamo noi a emigrare con grandi sogni e poche competenze in altri continenti, è un dramma costruito incredibilmente bene, un classico della letteratura americana che offre l’occasione a un cast di bravi attori e attrici di ottenere un meritato successo.

Popolizio emerge vittorioso dalla sua ennesima prova registica e attoriale riscontrando anche sulla piazza di Bologna applausi convinti dal pubblico dell’Arena. Dipo la tappa bolognese, la tournée prosegue questa settimana a Correggio e a seguire con date in altre piazze italiane.