Continua in tutta Europa la cosiddetta protesta dei trattori, la mobilitazione degli agricoltori che denunciano le condizioni difficili in cui si trovano e si troveranno anche a causa del Green Deal dell’Ue. Abbiamo già messo in guardia sulle infiltrazioni da parte dell’estrema destra che le mobilitazioni subiscono. In Italia, ad esempio, ad egemonizzare la protesta è Danilo Calvani, ex fondatore della Lega nel Lazio e ex leader del Movimento 9 dicembre-Forconi.
La protesta, tuttavia, merita attenzione perché racconta molto del sistema agroindustriale e delle sue storture.

La protesta dei trattori, una narrazione riduttiva contro la transizione ecologica

A spingersi in una coraggiosa apologia delle proteste dei trattori nei giorni scorsi è stata l’associazione Terra!, che in questo modo ha infranto una narrazione mediatica che vorrebbe gli agricoltori come zotici conservatori, ostili a misure ecologiste come quelle contenute nel Green Deal.
«Quella è solo una parte della protesta, legata alle lobby dell’agroindustria e alla destra sovranista», osserva ai nostri microfoni Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra! Esistono però molte forme di agricoltura ed esistono molti agricoltori che la transizione ecologica chiesta dal Green Deal la praticano da anni.

La dicotomia tra cibo e ambiente alla base di molte narrazioni della protesta è fuorviante perché non fotografa bene i problemi dell’agricoltura. Al contrario, rappresenta una semplificazione che rimuove completamente le cause a monte del malcontento. «C’è in atto una grossa forma di strumentalizzazione del mondo agricolo – sostiene Ciconte – per frenare la transizione ecologica europea. Che si faccio solo questo racconto è anche svilente nei confronti delle battaglie vere degli agricoltori».

La questione dei salari di agricoltori e consumatori

Uno dei grandi rimossi in questa vicenda è, ad esempio, il ruolo dell’agroindustria e della grande distribuzione organizzata. «Non è pensabile che il mondo della distribuzione non sia messo al centro di un dibattito che rimetta in discussione il modello di produzione, distribuzione e vendita dei prodotti».
Non è una novità lo sfruttamento di chi produce la materia prima, che in questo caso il nostro cibo. Il direttore di Terra! cita i prezzi praticati, come 20 centesimi per la verdura, che poi viene rivenduta a dieci volte il prezzo pagato a chi l’ha prodotta.
Se produrre cibo è diventato economicamente insostenibile, se per produrre un agricoltore spende più di quanto guadagna è quindi normale che quando gli vengono tolti i sussidi o imposte nuove restrizioni scenda in piazza per l’esasperazione.

La questione del Green Deal, dunque, non c’entra nulla in queste dinamiche. Il punto riguarda la remunerazione dei produttori, ma anche i salari dei cittadini consumatori, che non potrebbero permettersi un cibo che costasse ancora di più. «Questo perché in Italia i salari sono fermi da vent’anni – sottolinea Ciconte – Allora oggi dovremmo mettere mano a un grande tema, quello dei salari, che riguarda sia il mondo agricolo che quello del consumo».
Accanto a ciò, per il direttore di Terra!, occorre trasformare le filiere agricole e che il prezzo del prodotto agricolo lo stabilisca l’agricoltore o almeno che possa contrattarlo. Oggi, invece, a imporre il prezzo è la parte distributiva, che sui prezzi bassi fa profitti. Nello specifico, per rendere economicamente sostenibile la produzione agricola, i prodotti dovrebbero essere pagati il doppio o il triplo.

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