Sul cartellone del Primavera Sound era da due anni l’edizione della reunion dei Pavement che hanno rimandato i loro concerti fino a quando non era possibile realizzare la kermesse catalana. Ma sono stati veramente loro i protagonisti della ventesima edizione? Proverò a dare una risposta con questa mia recensione e con un po’ di musica sabato 11 alle 16.15 durante Afternoon Tunes.

Le live reviews di Afternoon Tunes al Primavera Sound

Vidi i Pavement al Palasport di Cesena come supporto ai Sonic Youth nel 1992. A fine concerto ricordo il banchetto della band di Stephen Malkmus letteralmente preso d’assalto.  Li ho rivisti, a distanza di trent’anni, nella recente reunion e in quella di dieci anni fa, sempre al Primavera Sound. Che dire…fa piacere e le loro canzoni sono sempre attuali. Devo dire che però vedere brizzolati entusiasmarsi, saltare e recitare le loro canzoni a memoria come se fossero state scritte ieri fa un certo effetto. La freschezza dei primi Pavement l’ho invece ritrovata nei dublinesi Fontaines DC. Coinvolgenti, accattivanti, dalle sonorità 90s rivisitate e riportate nel millennium i Fontaines, a mio avviso, hanno giocato bene le loro carte in studio e dal vivo.

L’Irlanda ogni tanto dà luce a una gemma e il filone Fontaines è sicuramente da seguire. Interessante la sperimentazione di Kim Gordon. Sempre con la memoria al famoso concerto dei Sonic Youth e Pavement del 1992, Kim è rimasta coerente alla filosofia sonica. Una virata viene invece dai Low. Direi che possiamo parlare ormai di primi Low e di distorti Low (molto interessanti). La storia premia gli Yo La Tengo e i Dinosaur Jr fedeli al loro passato, praticamente dei monoliti, infiammano il pubblico più anziano e istruiscono quello più giovane. Degni di nota sono i Parquet Courts per i quali possiamo coniare il termine punk ipnotico caraibico. 

L’ultimo giorno vede ancora una volta l’old school confrontarsi con le giovani bands. Per problemi connessi alla Brexit giunge a Barcellona solo la leader dei Porridge Radio Dana Margolin. A lei va la statuetta per il coraggio. Armata di una voce potente e della sua chitarra elettrica ci cattura in uno show intimo ma potente. Se Dana può fare a meno della band, i Black Country New Road non possono fare a meno di Isaac Wood, il cantante e chitarrista che recentemente ha lasciato il gruppo per problemi di natura emotiva. Il mio suggerimento di prendere Connor Oberst al suo posto non era così campato in aria, visto che nessuno della band sembra avere il carisma e le capacità vocali per affrontare il folto pubblico barcellonese. La vecchia scuola propone delle band più rodate: una su tutte i berlinesi Einsturzende Neubauten. L’ipnosi industriale si diffonde tra il pubblico, tra silenzi ed esplosioni di lamiere, carrelli della spesa microfonati, e buste della Lidl percosse. Blixa e soci ci regalano uno show stupendo che forse avrebbe raggiunto l’apice nell’auditorio del festival.

Visto la lunga collaborazione con Nick Cave ci aspettavamo che da un momento all’altro Blixa salisse sul palco durante lo show del re inchiostro, ma ciò non è accaduto. La sorpresa viene invece da un cambio nella setlist dove i pezzi di Abattoir Blues compaiono alternati alle hit a cui siamo più abituati come: The Mercy Seat, Red Right Hand, Tupelo, From Her to Eternity.  Un momento commovente è la sua I Need You dedicata ai suoi figli scomparsi: il giovane  Arthur e il più anziano Jethro. “Saranno qui a fare la fila per vedere i Bauhaus” mormora Nick. 

La chiusura della nostra undicesima  presenza al  PS è affidata agli inglesi Idles. Potenti, provocatori e divertenti, la band di Bristol si è ritagliata un ruolo importante nella scena musicale mondiale. “Un giorno venivo al Primavera come spettatore, oggi per me è un grande onore essere su questo palco” dice il singer Joe Talbot, impegnato a tenere la scena come se si allenasse per un incontro di boxe. Temi come l’antifascismo, l’immigrazione e le disuguaglianze sociali vengono urlati e raggiungono una folla eterogenea che sembra apprezzare la follia della band. 

Conclusioni

Non sono mancate le critiche all’organizzazione. Mancanza di sicurezza, lunghe file per prendere da bere, giovani addetti pagati 6 euro l’ora, ma soprattutto per la vendita superiore alla capacità del festival . È vero che due anni sono stati persi per il coronavirus e il mondo della musica ha sofferto immensamente. La domanda che sorge spontanea è questa: ce ne facciamo una ragione di questa perdita oppure continuiamo a cercare di recuperare gli anni persi sulla pelle del prossimo? A voi la risposta. 

Andrea Tabellini (tabs afternoon tunes)