Se negli anni che hanno preceduto la pandemia il territorio dell’Emilia-Romagna è stato colpito a più riprese e in più zone dalle alluvioni, con le esondazioni di fiumi e torrenti che hanno allagato interi Comuni, ora è con la siccità che dobbiamo fare i conti. Gli allarmi sul Po, il grande fiume che attraversa tutto il territorio regionale, si moltiplicano di settimana in settimana perché, appena all’inizio della primavera, il corso d’acqua presenta livelli idrometrici che solitamente lo caratterizzano ad agosto.

Acqua e siccità, come sta cambiando lo scenario

Il problema della siccità non è nuovo e non riguarda solo gli ultimi mesi. È per questo motivo che gli esperti puntano il dito contro i cambiamenti climatici.
Secondo le analisi di Arpae, nel 2021, ad esempio, le precipitazioni totali annue sono state molto scarse, con una media regionale pari a 659 mm, il quarto anno più secco dal 1961 dopo il 1988, il 1983 e il 2011. Anche negli ultimi sei mesi le cose non vanno bene. Dall’1 ottobre scorso a oggi i valori cumulati medi delle precipitazioni risultano sempre inferiori alle attese climatiche, con uno scostamento di -186 mm (pari al -33%) rispetto al periodo 2001-2020. Le piogge cumulate sono stimate tra le più basse degli ultimi 20 anni, negli ultimi sessant’anni valori inferiori si sono registrati solo nel 2002, 2007 e 2012.

«Sicuramente siamo in una situazione molto grave – osserva ai nostri microfoni Cinzia Alessandrini, dirigente dell’Osservatorio Clima di Arpae – perché abbiamo un deficit di precipitazioni molto importanti». Questo ammanco di piogge ha un impatto su diversi settori, a partire dall’agricoltura, ma passando anche per il rischio di incendi, la riduzione della produzione di energia da fonte idroelettrica, la risalita del cuneo salino nel delta del Po, che rischia di compromettere l’agricoltura stessa dell’area ferrarese, fino alle gravi conseguenze per gli ecosistemi.
E quel che è peggio è che le previsioni di medio-lungo termine non sembrano colmare il gap. «È prevista una probabilità di precipitazioni nel trimestre da aprile a giugno – fa sapere Alessandrini – ma in tutto il nord Italia la probabilità di precipitazioni scarse rimane e questo sicuramente non aiuta a sistemare una situazione che si protrae come siccitosa già dal 2021».

Dei 495 mm di precipitazioni che solitamente si registravano in Emilia-Romagna in un anno idrologico, che comincia l’1 ottobre, ne sono stati registrati appena 308. Il punto, però, è che non si tratta di un problema contingente, ma di un’anomalia che si sta facendo strutturale.
«L’evidenza di situazioni sempre più estreme, quindi siccità più intense e più durature effettivamente è un’evidenza anche modellistica – osserva Alessandrini – Stiamo già iniziando a sperimentare, purtroppo sulla nostra pelle, gli effetti dei cambiamenti climatici che ci fanno vivere gli eventi come più intensi, a partire dalle poche precipitazioni, meno frequenti ma molto più intense, fino alla siccità più gravose per periodi più lunghi».

ASCOLTA L’INTERVISTA A CINZIA ALESSANDRINI:

Cambiamenti climatici, è importante recuperare tutta l’acqua disponibile

«Veniamo da un triennio di scarse precipitazioni – osserva ai nostri microfoni Alessandra Furlani della Bonifica Renana – Questo è un andamento che ci preoccupa perché è un cambiamento di tipo strutturale». Un problema che nell’ultimo decennio si è presentato con maggior frequenza, dal momento che, oltre agli ultimi anni, anche il 2012 e il 2017 si sono presentati come particolarmente siccitosi.
Il surriscaldamento globale alla base dei cambiamenti climatici è il principale indiziato della siccità, modificando non solo la quantità di precipitazioni, ma anche la loro modalità. «Piove meno e con fenomeni di carattere temporalesco, tropicale», osserva Furlani. Ed è anche questa violenza delle precipitazioni uno dei fattori che determinano le alluvioni.

Una nuova situazione, dunque, che colpisce sia l’agricoltura che gli ecosistemi. In questi giorni solitamente la terra si presenta umida, che è la condizione perfetta per la semina o il trapianto, mentre molti dei terreni della nostra regione, al contrario, si presentano secchi. «Solitamente in questo periodo si riempiono gli invasi e in un qualche modo si stocca l’acqua invernale per renderla disponibile durante la stagione estiva per l’agricoltura e gli animali – osserva l’esperta della Bonifica Renana – Il fatto che piova meno è un problema».
Secondo alcuni dati, l’arco alpino ha registrato un -70% di precipitazioni nevose e a catena ciò si trasferisce a valle.

In Regione le zone maggiormente colpite sono il piacentino, ma anche il ferrarese, mentre per il momento il bolognese sembra essere stato graziato. In particolare, dalla Bonifica Renana fanno sapere che il bacino di Suviana, che rifornisce il Reno, è pieno all’80%, che il Cer (Canale Emiliano Romagnolo) che attinge dal Po è in funzione, mentre sono pieni sia l’invaso di Sasso Marconi che quello di Varignana.
Il Po, però, sta registrando la posizione più critica, tanto che le autorità di bacino hanno fatto sapere che attualmente la sua portata è pari a quella che solitamente ha in agosto.

È per queste ragioni che occorre attrezzarsi ad una nuova condizione strutturale e per farlo occorre mettere in campo azioni resilienti.
«In Italia solo il 10% dell’acqua che arriva dalle precipitazioni riesce ad essere trattenuta – osserva Furlani – Gli invasi alpini hanno perso il 50% della propria capacità di stoccaggio a causa degli accumuli di detriti, mentre in Appennino il problema è attorno al 25%». Ripristinando la capacità di accumulo degli invasi, quindi, si potrebbero recuperare ingenti quantità d’acqua senza il bisogno di realizzare nuove infrastrutture.

Nel territorio bolognese la Bonifica Renana sta operando per un maggior approvvigionamento idrico, ad esempio attraverso la realizzazione di un nuovo invaso nel Comune di Castel San Pietro che avrà la funzione di servire il circondario imolese, o attraverso un progetto finanziato dal Pnrr, che ha lo scopo di ristabilire la capacità di invaso dei principali canali collettori delle acque di scolo. Questi terminano nel nodo idrico di Argenta e il progetto prevede il recupero di 1,5 milioni di metri cubi d’acqua che arrivano in quel luogo per gravità, ma che il progetto si propone di ripompare in circolo una seconda volta prima di essere rilasciati in Adriatico.

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ALESSANDRA FURLANI: