Nelle settimane scorse, insieme a tante altre associazioni e/o semplici cittadini, anche la redazione della nostra trasmissione ha lanciato un appello per il ritiro del provvedimento di divieto di dimora in città, emesso contro sei attivisti dei collettivi LUNA e di Labas, in relazione all’occupazione e allo sgombero dell’Istituto Santa Giuliana dello scorso ottobre. Tale provvedimento, anche grazie alla pressione esercitata sul GIP da tali appelli, un paio di giorni fa è stato mutato in obbligo di firma giornaliero. Ora, se questa novità, restituendo sei persone alle loro case, ai loro affetti, al loro lavoro, ovviamente va salutata favorevolmente, non si può certo ignorare l’impronta repressiva presente anche nel nuovo atto sanzionatorio, né possiamo fingere che il clima generale nel paese sia dei più favorevoli a una società solidale e partecipativa.

Non vi nascondiamo dunque una certa soddisfazione mista a sorpresa di fronte a un’adesione così massiccia e trasversale al nostro invito (le firme sono arrivate indistintamente da lavoratrici e lavoratori della cooperazione, dell’ente locale, dell’azienda sanitaria, della scuola). Il nostro appello, infatti, era rivolto essenzialmente al mondo del lavoro sociale e sanitario, in quanto il più attiguo alle attività svolte in città dalle persone colpite dal provvedimento (alcuni di loro nostri colleghi). In sole quarantotto ore, più di trecento persone hanno firmato il nostro appello. Come prima cosa le vogliamo ringraziare qui ad una ad una; Alvise, Christopher, Damiano, Guglielmo, Luca e Tiziano lo hanno già fatto sui loro profili social.  L’abnormità di una pena con cui di norma si colpiscono mafiosi e camorristi, certamente ha generato un moto d’indignazione generale, ma noi pensiamo che l’ampia adesione da parte del nostro mondo di riferimento, nasconda anche dell’altro.

Conosciamo la maggior parte delle persone che hanno firmato l’appello: sono lavoratrici e lavoratori che hanno dedicato e stanno dedicando la gran parte della loro vita professionale alla difesa dei servizi in cui lavorano, legati idealmente alla visione, tanto antica quanto nobile, di un’organizzazione sociale capace di prendersi cura dei suoi cittadini più fragili ed esposti, e in quanto tale realmente “società civile”. Al contrario, stanno assistendo tutt’intorno a loro allo sgretolarsi del sistema di welfare così come lo avevano creato le grandi idealità europee del novecento, all’abbandono sistematico di concetti come progettualità e prevenzione, alla dissoluzione di una sanità pubblica e universale, per decenni il principale vanto di questo paese. La fatica con cui ogni giorno si recano al lavoro è ripagata il più delle volte da frustrazione e senso di isolamento. In queste condizioni è inaccettabile l’idea che si colpisca chi, con la propria opera quotidiana, prova ad avversare tale stato di cose, chi si prodiga per lenire disagi e fragilità cui sempre più spesso le stesse istituzioni non riescono a dare risposta.

Che fare allora? Come ricostruire una nuova comunità curante? Lasciar perdere? Don Luigi Ciotti, in un suo intervento di qualche tempo fa in piazza a Bologna, disse che proprio quando si tocca il fondo, quando sembra che la situazione sia troppo complessa e che non ci sia più nessuna speranza, proprio quello è il momento in cui non bisogna abbattersi ma battersi. Noi, nel nostro piccolo, per chi vorrà continuare a farlo, seguiteremo a mettere a disposizione lo spazio della nostra trasmissione.