Il polo logistico di Altedo è una scelta politica che gli amministratori hanno assunto forzando le stesse valutazioni urbanistiche e senza aver effettuato uno studio sulla reale necessità di edificazione e senza un censimento dei capannoni vuoti che insistono sul nostro territorio. È in sintesi la posizione espressa da Legambiente sul progetto approvato dalla Città Metropolitana di Bologna lo scorso novembre, che andrebbe a riversare una colata di cemento su 73 ettari di terreno agricolo.

Polo logistico di Altedo, la ferma contrarietà di Legambiente

L’associazione ambientalista è tornata sul progetto deciso per Altedo, frazione di Malalbergo, dai Comuni e dall’ex provincia. E lo ha fatto smontando uno a uno tutte i “punti di forza” che, secondo i sostenitori, il polo logistico avrebbe.
Anzitutto quello del lavoro. A seconda delle stime, si parla della creazione di 1500 o 1900 posti di lavoro. Numeri tutti da dimostrare, visto ad esempio un precedente che riguarda la società immobiliare che si è candidata a realizzare il progetto nella pianura bolognese.

La società Aprc di Lione aveva in ballo un progetto (analogo a quello che ora propone ad Altedo) nella città di Vercelli. Nel Comune piemontese però qualcosa è andato storto, perché la società non è riuscita a trovare sufficienti aziende che volessero occupare i capannoni ed ha deciso di abbandonare il progetto, lasciando i posti di lavoro sulla carta.
«Ad Altedo il rischio è maggiore – ha spiegato Luca Girotti, responsabile del circolo Legambiente Pianura Nord di Bologna – perché a Vercelli l’intervento doveva riqualificare un’area industriale, mentre nella pianura bolognese siamo di fronte alla distruzione di un’area agricola che non tornerebbe più come prima».

Sempre a proposito di lavoro, gli ambientalisti pongono l’accento anche su due altri aspetti. Da un lato la qualità del lavoro, dal momento che la logistica è uno dei settori dove la precarietà regna incontrastata, dall’altro lato la tecnologia, dal momento che la logistica, anche grazie al 5G, è uno dei settori dove l’automazione viene avanti prepotentemente. Il rischio è che se anche i 1500 posti di lavoro fossero reali, con ogni probabilità calerebbero velocemente.

Il vincolo paesaggistico e le forzature politiche

Uno dei punti su cui Legambiente insiste di più, però, riguarda gli strumenti urbanistici che gli stessi Enti Locali predispongono e che spesso piegano o modificano a proprio piacimento.
«Su quell’area è attualmente presente un vincolo paesaggistico – ricorda Girotti – Per consentire la realizzazione del progetto è necessario eventualmente rimuoverlo. A porre quel vincolo, nel 2004, è stata la stessa provincia nel Ptcp (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, ndr) e a dicembre scorso la stessa Città Metropolitana ha assunto quel vincolo con l’adozione del Piano Territoriale Metropolitano».

L’esponente ecologista si chiede se dunque se vi sia stata una modificazione del territorio tale per cui il vincolo posto possa essere rimosso. «La risposta la Città Metropolitana se l’è già data: le condizioni che hanno portato al vincolo sono immutate, quindi non ci sono argomentazioni che potrebbero motivare la rimozione del vincolo», osserva Girotti, che sostiene quindi come un atto del genere rappresenterebbe una forzatura e una scelta politica la cui responsabilità sarebbe in capo ai soggetti istituzionali che sostengono l’opera.

Non esistono studi che certifichino la necessità del polo

Il tasto su cui batte forte Legambiente, però, riguarda anche una questione di metodo. Già ai tempi della legge urbanistica regionale, infatti, l’associazione ambientalista aveva chiesto che, nel predisporre i piani urbanistici territoriali, fosse fatto un censimento delle strutture vuote, come i capannoni dismessi nelle aree industriali ed artigianali del territorio. Questo sarebbe stato uno strumento importante per poter compiere scelte urbanistiche tenendo in considerazione la salvaguardia dell’ambiente.

Quella richiesta non fu accolta nemmeno allora e, per quanto riguarda il polo di Altedo, non si sa se sul territorio vi sia effettivamente la necessità di costruire nuovi insediamenti o se, al contrario, vi siano luoghi che possano essere riqualificati.
«È disponibile un dato sulla quantità di metri quadrati di capannoni all’interno di aree già urbanizzate, che attualmente sono non utilizzati e magari dismessi da anni? Questo dato nessuno ce l’ha fornito – sottolinea Girotti – Riteniamo che all’interno degli strumenti di pianificazione esistenti sarebbe il primo dato che dovrebbe servire a valutare se effettivamente c’è la necessità di altri insediamenti logistici».

La sovranità alimentare e la politica

Un ultimo punto riguarda proprio la natura dei terreni su cui dovrebbe sorgere il polo logistico di Altedo. Se arrivasse il cemento si perderebbero terreni agricoli.
«Assurdamente i nostri politici insorgono quando vengono abbattute le foreste dall’altra parte del mondo per fare spazio a terreni da coltivare – sottolinea Girotti – Poi qui, dove ci sono già terreni agricoli coltivati, li andiamo a cementificare, condannando il nostro Paese ad essere sempre più dipendente dal punto di vista dell’approvigionamento alimentare da quello che fanno gli Stati esteri, perché se non siamo in grado di produrre ciò che è necessario per cibarci saremo costretti a rivolgerci all’esterno».

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