Applausi convinti per l’interpretazione dei cantanti: Gregory Kunde nei panni di Otello, Franco Vassallo in quelli di Iago e per la splendida e raffinata Mariangela Sicilia nelle vesti di Desdemona. Dall’alto fischi al direttore Asher Fisch accusato di aver suonato “troppo forte” sovrastando le voci, qualche scontento anche per la regia di Lavia. Una prima al Comunale che è anche l’addio, per quattro anni, alle rappresentazioni nella sala del Bibbiena dove a breve partiiranno i lavori di ristrutturazione grazie ai fondi del PNRR.
Il pubblico delle prime del Comunale sembra sempre scontento per qualche motivo, o forse per partito preso. Quando a mio modesto avviso una regia, o la direzione d’orchesta, appare interessante, innovativa e coinvolgente fischia a più non posso, quando invece, sempre dal mio modestissimo punto di osservazione, la regia sembra non aver lavorato sulle interazioni tra i corpi dei personaggi o abbia magari solo creato una bella cornice di luci nascondendo altre carenze, applaudono soddisfatti.
A chiusura di sipario di questa prima di Otello firmata da Gabriele Lavia per la direzione di Asher Fisch il pubblico appare tiepido, si scalda solo per ringraziare, con scroscianti applausi, singoli artisti ed in particolare il Baritono Franco Vassallo che ha dato effettivamente prova di saper sostenere perfettamente il ruolo del manipolatore, affabulatore, distruttore Iago; il tenore Gregory Kunde che ha incarnato Otello presentandosi con la sua pelle bianca, senza dipingersi di nero, secondo l’attuale politica di rispetto delle persone di colore e di non contraffazione della propria etnicità, cantando con passionee impeto, dando prova anche di grande capacità attoriale; l’ impeccabile soprano Mariangela Sicilia che ha incantato l’uditorio come Desdemona con la sua voce capace di rendere ogni minima sfumatora della paritura.
A sopresa, prima della ripresa dell’opera con il terzo atto, alcuni signori dall’alto hanno cominciato a gridare al Direttore d’orchestra di suonare più piano, perchè copriva le voci. In risposta è partito un applauso di sostegno al Direttore e alla sua interpretazione della complessa e cesellata partitua verdiana che prevede un’ochestrazione molto ricca e appassionante.
Quest’opera di Verdi costituisce l’apice della musica d’opera italiana rispetto a quanto prodotto prima del suo apparire, anche dal suo stesso autore. Verdi innova profondamente nella forma musicale e presentando ogni personaggio ben differenziato dagli altri, scende in profondità nella loro psicologia. In questa partitura c’è un fluire continuo di emozioni, non c’è mai una pausa, un momento di arresto e quindi di possibile “noia” da parte dell’uditorio. Ogni vuoto è colmato, l’orchestrazione fa sì che attraverso la varietà dei timbri, l’irrobustimento della sezione dei fiati nella parte grave, con notevoli percussioni, l’adozione di strumenti inconsueti e macchinari scenici per imitare la tempesta o i colpi di cannone e con l’intrecciarsi delle diverse linee melodiche a narrare la fitta trama emotiva, restituisce la complessità dell’animo umano e travolge l’uditorio senza soluzione di continuità fino alla chiusa.
La direzione del Mestro Fisch è parsa tutt’altro che soverchiante rispetto alle magnifiche voci presenti nel cast, piuttosto ha sostenuto, con tutte le risorse dell’orchestra, l’avvicendarsi delle emozioni descritte dai versi e, ovviamente dalle linee melodiche vocali, con una straordinaria energia, capace di coinvolgere l’uditorio nelle passioni espresse musicalmente tanto nei momenti più intimi e delicati, quanto nei più concitati e colmi di furore, odio, terrore o gelosia.
Quanto più la tempesta è irruente, oltretutto non annunciata da alcuna ouverture, ed è gioioso il festeggiamento per lo scampato pericolo sia in battaglia che per mare, tanto più l’animo viene aquietato dalla dolcezza del duetto amoroso Otello e Desdemona «E tu m’amavi per le mie sventure/ Ed io t’amavo per la tua pietà» che chiude l’atto narrandoci tutta la storia d’amore tra i due protagonisti che è avventua in un prima della storia messa in musica da Verdi. La resa scenica dell’angoscia del popolo tutto per le sorti della nave in balìa dei flutti e del suo equipaggio di ritorno vittoriosa da una battaglia, è interessante. Il coro canta schierato a fondo scena, in abiti scuri “da concerto” mentre sono i mimi della Scuola Galante Garrone a impersonare i popolanti in ansia con movimenti a rallenty ben organizzati e amalgamati nella partitura. Potente il giubilo per la salvezza e il ritorno di Otello. Ogni mutazione della situazione comporta un cambio luci molto efficace che modifica il colore di un enorme telo drappeggiato che sovrasta la scena e che, muovendosi, assume posizioni diverse e racconta sia il mutare dei luoghi, che delle passioni che dominano i protagonisti.
Il progetto scenico, la regia tutta, era stata pensata per il debutto al PalaDozza in epoca Covid, quando per ragioni di sicurezza la stagione era stata spostata in quello spazio per distanziare il pubblico. La produzione avrebbe dovuto debuttare proprio quando è sopraggiunto il totale lockdown. I teatri sono stati chiusi, tutto il cast è tornato alle proprie case e si è passati alle modalità on line della vita, del lavoro e, pian piano anche dell’arte.
Nell’allestimento pensato per il PalaDozza l’orchestra era stata sistemata dietro la scena, nascosta, non potendo cambiare scene, a vista, non essendoci sipari, si era previsto uno spazio completamente vuoto sovrastato solo da questo immenso telo. Per questa ripresa in teatro si è si è adattato quanto pensato per quell’immenso spazio non teatrale, continuando a giocare sul movimento del telo e usando luci di taglio e controluce, grazie a fari posti sui tre lati del palcoscenico a diverse altezze su lunghi steli rossi che sembravano anche tanti occhi inquisitori sulle vicende narrate o fiori scarlatti per un prematuro compianto dell’ innocente Desdemona. Osando forse vedere più di quanto si volesse rappresentare, gli steli rossi dei fari, questi occhi scarlatti piangenti sulla vittima sembravano quasi voler ricordare che, in fondo, si stava per assistere ad un premeditato femminicidio, anche se il termine, con il suo portato di significazione, di recente conio, ovviamente nè al tempo di Shakespeare, nè a quello di Verdi, poteva essere concepito come tale. Se questo allestimento scenografico è apparso un garbato e poco invasivo rimando al contemporaneo, costumi e modalità di movimento scenico sono risultati in linea con una certa tradizione operistica senza per questo essere banali. Lavia insieme agli assistenti ai costumi e alle luci, rispettivamente Stefania Scaraggi e Daniele Naldi, hanno lavorato nel segno di una sobria ed elegante messa in scena. I costumi, in stile cinquecentesco, sono sontuosi, di ottima fattura, raffinati. Le luci seguono l’andamento emotivo della musica, i movimenti scenici sono ben orchestrati, c’è un reale scambio tra i corpi dei protagonisti, c’è interazione, c’è senso ed emozione tanto nelle voci, quanto nell’espressività corporea. Tutto è coerente e interessante con forse l’unica eccezione del lungo e non spiegato inginocchiamento di Otello e Iago nel finale del secondo atto, dove non si percepisce affatto che è Iago a sottomettere Otello tenendolo inginocchiato, come a dominarlo, mentre Otello vorrebbe rialzarsi (secondo le didascalie del libretto), dopo il giuramento di vendetta.
Magnifico Vassallo nel “credo” di Iago in cui Boito ha condensato tutta la filosofia di questo orditore di raggiri e agente del male. Altrettanto intenso risulta Otello, ovvero Kunde in particolare in tutta la scena dell’atto terzo davanti agli ambasciatori veneziani quando sbatte a terra l’incredula Desdemona e sovrasta lo sgomento degli astanti con la frase «Tutti fuggite Otello» e la sua maledizione «anima mia, ti maledico».
Ultima notazione e plauso va ancora alla splendida Mariangela Sicilia la cui voce capace di mille sottigliezze convince pienamente. Forse la fisicità della cantante tratteggia una Desdemona fin troppo risoluta e meno ingenua di quanto non sia nell’immaginario legato al personaggio, ma è comunque un’interprezazione convincente forse più vicina alla nostra sensibilità attuale in cui è apprezzata la donna forte e non vittima, ma che piuttosto accetta l’inevitalilità della sorte, in questo caso raccomandandosi a Dio, dopo il canto del salice in cui presagisce la fine.
Complessivamente la messa in scena è davvero coinvolgente, ogni elemento moltiplica l’effetto degli altri fattori. Musica, voci, luci, il telo incombente e fluttuante, il frusciare delle vesti, ogni particolare amplifica l’effetto degli altri, tutto è curato e ben amalgamato. Chi non ha apprezzato parti del tutto, ha espresso legittimamente la propria opinione davanti al cast completo, per gli altri spettatori e spettatrici è stato davvero un ultimo magico appuntamento nel teatro cittadino, nell’attesa di vivere occasioni parimenti piacevoli anche in un luogo diverso per il tempo della ristrutturazione della sala, certi che sia solo un temporaneo allontanamento dal cuore della città, preludio di un rientro in un teatro pronto alle sfide tecniche del futuro.