Le indennità di accompagnamento di cui beneficiano i disabili non possono essere considerate reddito, quindi non devono finire nell’Isee. Lo ha sancito il Consiglio di Stato dopo il ricorso del governo contro i disabili che protestavano per i nuovi parametri. Bonanno (Stop Nuovo Isee): “Il governo sta facendo danni, limitando l’accesso ai servizi essenziali”.

Il Consiglio di Stato si esprime sul nuovo Isee

L’intento ufficiale del governo con l’approvazione del nuovo Isee, entrato in vigore il 1 gennaio 2015 era quello “di rendere il sistema più equo, a partire dalla veridicità delle dichiarazioni”, come affermato dal ministro Giuliano Poletti.
La misura ha avuto invece come effetto l’indignazione collettiva, a partire da chi, come i disabili, si sono visti privare dell’accesso a prestazioni agevolate per effetto dei nuovi calcoli che includono nel conteggio finale dell’Isee anche i trattamenti indennitari percepiti, tra cui l’indennità di accompagnamento.

La contestazione della disposizione del governo è finita nelle aule dei Tribunali. Le famiglie dei disabili, supportate da “Coordinamento disabili Isee No Grazie“, guidata da Chiara Bonanno, hanno presentato ricorso al Tar del Lazio chiedendo l’annullamento nel conteggio come reddito di qualunque contributo ricevuto dagli invalidi e l’abolizione del tetto per le spese sanitarie detraibili dall’Isee, invocando la consapevolezza che “l’invalido deve essere considerato autonomamente senza unire il suo reddito a quello della famiglia di cui fa parte”, come ha spiegato l’avvocato che ha curato il ricorso, Liliana Farronato.

Il governo ha risposto per le rime, facendo appello al Consiglio di Stato, in una sentenza che però ha espresso un responso favorevole per le famiglie con disabilità, ribadendo quanto già sostenuto dal Tar del Lazio. “La prima sentenza del Tar – ricorda Chiara Bonanno – era infatti immediatamente esecutiva, ma per due anni il governo ha continuato ad applicare un Isee palesemente ingiusto, che ha creato ingiustizie, gravi danni e perfino morti. Perché chiedere a famiglie allo stremo di compartecipare alle spese dell’assistenza significa colpire con forza chi forza non ha. Chi ha fatto questa legge ha creato gravi danni economici, ma sopratutto alla dignità di queste persone”.

Alessia Caizzone