La regista Stefania Bonfadelli firma al Comunale Nouveau, insieme al direttore Pier Giorgio Morandi, un nuovo entusiasmante allestimento della Norma di Bellini nel centenario della nascita di Maria Callas come omaggio alla grande soprano che tra i tanti ruoli ricoperti si identificava proprio in quello di Norma con il quale raggiunse i suoi maggiori successi. E’ toccato a Francesca Dotto sostenere il ruolo così caro a Callas raccogliendone l’eredità in questo suo debutto molto applaudito al Comunale.

La prima di Norma è stata impreziosita dall’inaugurazione di una mostra fotografica dell’ingresso del padiglione fieristico adibito a teatro, dedicata a Maria Callas che ha previsto anche l’esposizione di due abiti indossati dalla diva in Norma, in allestimenti con la regia di Zeffirelli e dalla presenza di Giovanna Lomazzi all’incontro di presentazione dell’opera, grande amica della cantante, dal cui archivio provengono la maggior parte delle foto in mostra.

Trasferiti nella sala teatrale, dall’attacco della solenne eppur concitata sinfonia, siamo stati catapultati in una dimensione quasi cinematografica, nel bel mezzo di una guerra dove un popolo in armi combatte strenuamente contro un esercito nemico sacrificando vite innocenti che restano sul campio di battaglia. Il coro, ovvero i Galli, compiono un rituale in onore della luna recuperando le salme.

Ogni gesto del coro, come dei mimi, appare ben orchestrato, organizzato, i combattimenti corpo a corpo sono davvero ben coreografati da Ran Arthur Braun, uno degli action designer più ricercati al mondo, preparatore di attori per film d’azione oltre che docente di combattimento scenico alla Royal Opera House Covent Garden di Londra. Ogni controscena crea l’atmosfera, la situazione che determina il dramma umano dei e delle protagoniste dell’opera. Il conflitto, come ha asserito la regista Stefania Bonfadelli nelle note di regia, è proposto in questo allestimento come motore narrativo, che aiuta a entrare nei dilemmi di Norma, come degli altri protagonisti, senza che questa lettura offuschi la perfezione stilistica di Bellini o distolga dalle melodie dolenti e dalle esecuzioni limpide, precise e al contempo accorate, delle esecutrici ed esecutori.

La guerra, con la ferocia degli invasori e la resistenza del popolo invaso in cui la regista ha fatto combattere anche le donne civili, armate come la guerriera e sacerdotessa Norma, ci rimanda continuamente a scenari che quotidianamente vediamo nei telegiornali, dalla guerra in Ucraina alle rivolte delle donne in Iran (citate in un rituale taglio di ciocche di capelli propiziatorio). Nelle controscene assistiamo anche alla brutalizzazione della popolazione fatta prigioniera, assistiamo a stupri, come nella realtà usati come arma di guerra, a decapitazioni e altre torture.

Se tutto il lavoro di regia crea il contorno e rende la dimensione collettiva della guerra di resistenza incarnata dal coro, la cui presenza si avverte prepotentemente e il cui canto è molto emozionante, c’è anche un cuore altrettanto pulsante della messa in scena rappresentato dalle voci dei cantanti solisti e delle cantanti in particolare. La pulizia vocale, la chiarezza cristallina della voce di Francesca Dotto riesce a trasmettere calma, nel tumulto del conflitto e al contempo calore, per l’empatia narrata dalle parole del testo del librettista Felice Romani verso il popolo sofferente e finanche verso la rivale in amore Adalgisa. Altrettanto brava ed emozionante si è rivelata Veronica Sineoni dalla voce avvolgente, interprete di Adalgisa, che duetta con Dotti/Norma dando vita a una superba amalgama vocale. I corpi delle due donne dialogano non solo le loro voci, i movimenti scenici sono estremamente fluidi dando un risultato di naturalezza, l’amicizia tra le due donne risulta vera, credibile, si percepisce il rispecchiamento di Norma nel racconto che Adalgisa le fa del suo innamoramento. Norma si sente sorella della giovane nelle modalità attraverso cui è stata coinvolta dall’amato. Il pubblico sa già, in quel momento della trama che il rispecchiamento vissuto da Norma va al di là della somiglianza delle vicende perché è anche lo stesso uomo ad averle sedotte.

Anche al momento dello svelamento, quando Norma comprende che entrambe amano lo stesso uomo, il suo biasimo va a Pollione apostrofato come “malfattore” e non ad Adalgisa, vittima e tradita quanto lei, dall’uomo che, seducendola l’ha condannata a eterne lagrime. Nel terzetto che chiude il primo atto, la piacevolezza delle melodie, la fluidità carezzevole delle voci va di pari passo al consolidarsi nella mente di Norma del pensiero della colpevolezza di Pollione rispetto alle due donne ancora sorelle misere nella comune sventura e matura la decisione di darsi la morte anzichè uccidere i figli per vendetta. Nella resa registica tutto scorre come una scena cinematografica che mette in risalto il dolore di ogni personaggio accentuato dal risvolto che le loro vicende hanno sui due figli di Norma e Pollione fatti giocare con gli aquiloni sullo sfondo.

Ritornando per un momento alla scena in cui Norma pensa di uccidere i suoi due figli che, a fine atto, in questa messa in scena, vediamo giocare, risulta oggi molto attuale, racconta una maternità non tutta intrisa di sacrificio e bontà, ma una maternità che ha anche in sé la possibilità della crudeltà, una maternità che può contemplare il pensiero sotterraneo, solitamente censurato e represso, dell’uso dei figli come arma di ricatto dell’altro genitore arrivando anche a ipotizzare di disporre della loro vita per nuocere al loro padre se la donna si sente tradita. Quando leggiamo in cronaca fatti analoghi a questi ci sembra qualcosa di contro natura, ma forse, per quanto orribile, è una possibilità che sempre si è data nell’essere madri e che attuare o non attuare quel pensiero dipende da tanti fattori personali e sociostorici che qui non possiamo indagare. A differenza che in Medea, Norma non è riuscita ad uccidere i figli come inizialmente aveva pensato di fare per avere vendetta. Questa sua indecisione e pietas, come sottolinea sempre Bonfadelli nelle note di regia, le aprono la via verso un riscatto morale precluso alla maga euripidea e così, nel finale, li lascerà vivi, ma soli, orfani, morendo insieme all’amato, come possibilità di rinascita dopo la distruzione operata dalla guerra.

Il presentimento dell’orrore si annida dietro ogni scena rappresentata, anche durante le arie amorose, il momento di tenerezza e di abbandono momentaneo dei protagonisti avviene sempre in un contesto di guerra che viene sempre reso presente dai movimenti scenici sul campo di battaglia raffigurato nella scenografia: una landa desolata disseminata da monconi di quelli che un tempo dovevano essere alberi e che ora assomigliano a case diroccate o a cippi funerari. La scena fissa è continuamente animata da quinte o colonne spostate su un carrello orizzontale andando a inquadrare le diverse scene definendole, organizzandole spazialmente. Le luci, di grande efficacia, disegnate da Daniele Naldi, creano momenti di sospensione dell’azione o concentrano l’attezione su precise aree sceniche, di momento in momento poi raccontano lo stato d’animo dei protagonisti, cotribuiscono ad enfatizzare gli effetti nefasti della guerra in corso.

Si susseguono anche i rituali propiziatori, riti sacrificali per avere il favore della dea Irminsul e poter avere la meglio sul nemico così si tagliano capelli delle sacerdotesse con un falcetto, si sacrifica un agnello, ogni gesto di Norma come del suo seguito, è testo alla pace e spinto da un desiderio di pace. Il coro appella Norma come “consigliera di pace” anche se ella si presenta sia come sacerdotessa e profetessa che come guerriera e guida del suo popolo, dotata olre che di un manto bianco sacerdotale, anche di un corpetto- corazza, lo stesso corpetto che Adalgisa si toglie restituendolo a Norma, rinunciando così, con il permesso della sacerdotessa, ai voti di castità per poter amare liberamente il suo innamorato. Nella ricerca della propria felicità Norma, come Adalgisa e lo stesso Pollione, causano esiti imprevisti ingenerando dolore, astio e lutti. Ogni azione scenica è conseguenza degli eventi occorsi, come se un destino conducesse le loro vite. Norma si è macchiata di tradimento avendo amato un nemico, si autodenuncia e chiede di essere messa al rogo come punizione salvando così Adalgisa e risparmiando i figli che affida alle cure della rivale. Pollione invece deve perire con lei per aver rotto le promesse e dimenticato il bene dei figli e per aver infine rapito una vergine dal tempio contro la sua volontà. Pollione come appartenente all’esercito nemico deve essere per necessità ucciso anche come segno che i Romani possono essere annientati, anche se, nella profezia di Norma, non sarà per l’opera del suo popolo che cadranno, ma per i vizi di Roma, per quanto la caduta avverrà in un futuro che Norma non vedrà.

Il popolo parla di pace, inneggia alla pace, ma al contempo si prepara alla guerra con pensieri di rivalsa, di strage, pronti a vedere scorrere sangue romano a fiumi. Questa la grande contraddizione della guerra narrata da Norma come di ogni guerra. Si commina la morte, si commettono delitti pur anelando alla pace. Il sipario si chiude sul pianto del padre di Norma, Oroveso (Nicola Ulivieri), il quale si dà il permesso di versare lacrime per la morte di una figlia esercitando un gesto pietoso che si ricollega a quello recitato a chiusura della sinfonia iniziale quando aveva portato fuori dal campo di battaglia il corpo di una bambina innocente, finita per errore sul luogo del massacro.

Restano padri anziani e orfani a testimoniare la carneficina per un nuovo inizio, forse fino a un nuovo massacro, quando le generazioni nate si saranno dimenticate cosa vuol dire una guerra, non avendola mai vissuta.

Spenti anche i copiosi applausi sulla prima, della parte musicale risuona internamente un eco lungo fatto di parti corali rese con particolare cura, non solo il coro finale del “Piange, Prega!” ma anche il coro che inneggia alla guerra “Guerra Guerra!” e quello sommesso e declamato che si intercala al famoso “Casta Diva” ponendosi come prolungamento sommesso della melodia, come un vento che spande il sentimento di Norma su tutto il popolo e da lì, al pubblico. Per quanto splendida sia di per sé l’aria, eseguita spesso dalle cantanti in forma di concerto, è ascoltata insieme al coro che la sua bellezza viene amplificata e arriva al culmine elevando l’anima dell’ascoltatore o ascoltatrice a uno stato superiore di coscienza.

Bellini ci ha consegnato la sua musica drammatica e insieme vitalistica, le sue lunghe melodie, Romani con i versi del libretto ha fornito parole come pretesti all’innesco delle emozioni che il compositore desiderava far sprigionare nei diversi momenti del dramma. La partitura è stata attualizzata e resa viva in questo allestimento grazie a competenze di altissimo livello del cast tecnico e artistico, che tutte insieme hanno contribuito a uno spettacolo davvero riuscito e prezioso esempio di come si può mettere in scena un’opera che colpisca anche l’imaginario dei più giovani usando tecniche teatrali di nuova concezione, senza al contempo snaturare la tradizione operistica.

Allestimento da verdere! Sembra anche che, dopo il necessario rodaggio, siano state risolte alcune criticità organizzative rispetto all’ubicazione degli incontri di presentazione dell’opera nell’ingresso, l’acustica è sembrata questa volta molto buona, non so se per accorgimenti adottati o per merito degli ottimi cantanti; risolti anche problemi legati agli spostamenti del pubblico: prorogati gli orari del bus 28 per consentire il ritorno del pubblico e anche i taxi sono arrivati in buon numero per il deflusso. Il Comunale Nouveau sta decollando pienamente!