È di almeno 40 morti il bilancio dell’attacco aereo israeliano su una zona umanitaria di Rafah, nel sud di Gaza. L’Idf ha preso di mira le tende degli sfollati vicino al quartier generale delle Nazioni Unite nella zona nord-ovest della città sotto assedio. Le vittime, secondo quanto riporta anche Medici Senza Frontiere, sono letteralmente bruciate vive.
Per contro, Israele giustifica l’attacco sostenendo di aver colpito un compound di Hamas e di aver ucciso due esponenti di Hamas.
Tutto ciò avviene nonostante venerdì scorso un’ordinanza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja abbia decretato che: «in conformità con la convenzione del genocidio, Israele deve immediatamente fermare la sua offensiva militare e ogni altra azione a Rafah che potrebbe infliggere al gruppo palestinese a Gaza condizioni di vita tali da condurlo alla sua distruzione fisica, totale o parziale».
Nello stesso documento si chiede di mantenere aperto il valico di Rafah per l’assistenza umanitaria, garantire l’accesso a qualsiasi organo investigativo incaricato dalle Nazioni Unite per indagare sulle accuse di genocidio e presentare alla Corte un rapporto su tutte le misure adottate per dare esecuzione alla stessa ordinanza.
Israele fa strage a Rafah in violazione del diritto internazionale
«A ogni decisione contraria a Israele – osserva ai nostri microfoni Romana Rubeo, giornalista di The Palestine Chronicle – è sempre seguita una vendetta contro la popolazione civile inerme nella Striscia di Gaza. Purtroppo anche questo massacro, per quanto porti un dolore lancinante, non arriva come una sorpresa».
A colpire è proprio la sistematica violazione del diritto internazionale, non solo dell’ordinanza della corte dell’Aja, da parte di Israele, che colpisce una popolazione civile già allo stremo per le condizioni imposte dalle stesse autorità di Tel Aviv.
Perché però questa sostanziale impunità? «La ragione è sempre la stessa – commenta Rubeo – Questo ordinamento, così come è strutturato, è figlio di una determinata situazione storica, che è quella della Seconda Guerra Mondiale, nato per punire fondamentalmente i non-bianchi e i non-occidentali. Israele non è solo un avamposto occidentale nella regione e non solo alleato degli Stati Uniti, ma ormai è un’emanazione. In questo momento c’è l’evidenza che Israele non è una questione di politica estera da parte degli Stati Uniti, ma è una questione di politica interna. Proteggendo Israele e le sue malefatte gli Stati Uniti di fatto proteggono se stessi e l’ordinamento di cui sono fautori».
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