Con assai poco rispetto dell’organo rappresentativo, il Parlamento, il premier Mario Draghi ha illustrato ieri pomeriggio alla Camera il cosiddetto Recovery Plan, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un piano da complessivi 248 miliardi, che dovrà essere frettolosamente approvato da Camera e Senato perché venerdì dovrà volare a Bruxelles e che contiene di tutto e di più, tranne quello che serve alla gente.
«È un piano a metà tra un ‘libro dei sogni’ ambientalista-digitale e un prontuario delle ‘grandi opere’, alcune delle quali nell’agenda politica da 30 anni senza essere mai realizzate», è la sintesi del giornalista Francesco Floris che si è preso la briga di analizzarlo.
Recovery Plan, mancano soluzioni per i nodi critici sociali
«La speranza era che con tutta questa mole di risorse che arrivano dall’Europa si andassero a toccare almeno alcuni dei nodi critici dell’assetto sociale italiano, come le condizioni di lavoro delle persone e delle tematiche legate alla casa», osserva Floris ai nostri microfoni.
Invece, sia nelle bozze che hanno cominciato a circolare venerdì che nella versione definitiva presentata al Parlamento, mancano completamente interventi in questi campi.
«C’è un intero capitolo – continua il giornalista – in cui si dice che quelle sono riforme che servirebbero al Paese ma che non verranno fatte col Recovery Plan, ma che dovrebbero essere fatte accanto al Recovery Plan». Vengono quindi posticipate a data da destinarsi le discussioni sul salario minimo, sulla riforma del welfare e degli ammortizzatori sociali universali, sulle pensioni e sulla riforma fiscale.
Floris pone dubbi anche sul fatto che verranno mai fatte, dal momento che alcuni ministri hanno già fatto sapere di intendere il loro mandato come a termine, in attesa di tornare alla loro vita professionale.
Casa, pochissime risorse e ancor meno politiche
«Ogni anno in Italia vengono sfrattate 50mila famiglie e, considerando la media di tre componenti per nucleo famigliare, vengono sfrattate circa 150mila persone – sottolinea Floris – La cosa che funziona meglio contro questo dramma sociale è il fatto che siamo inefficienti, cioè poi non tutte vengono effettivamente sfrattate».
Un dramma considerevole, dunque, per il quale non sono previsti investimenti rilevanti. Sono infatti 500 milioni di euro le risorse stanziate per la costruzione di case a canone sociale, una delle voci più basse dell’intero Recovery Plan. Oltretutto, sottolinea il giornalista, non si tratta di edilizia popolare, ma di abitazioni private a canone calmierato.
Eppure in Italia sono 650mila le famiglie che attendono una casa popolare ed è stato stimato che potrebbero essere almeno 100mila gli alloggi che potrebbero essere recuperati.
Nel documento presentato da Draghi, però, non c’è alcuna traccia di politiche abitative e, al contrario, vengono tagliate anche le risorse per il “superecobonus” del governo Conte, che già presentava dei problemi da quando è stato aperto alla ristrutturazione delle seconde case.
Fisco e lavoro, le misure a data da destinarsi
Altra grande assenza che, come anticipato, trova una giustificazione già nelle righe del Recovery Plan, è quella relativa alle misure per il fisco, il lavoro e le pensioni. Chissà se il premier si riferiva a questi temi quando, nel suo discorso alla Camera, ha sostenuto che «miopi visioni di parte peseranno sulle vite dei cittadini».
Quel che è certo è che una decisione sul salario minimo, voluto anche dal ministro del Lavoro Andrea Orlando, è stata rimandata, così come la discussione sugli ammortizzatori sociali universali, che tanto sarebbero serviti durante la pandemia, specie per categorie molto colpite come lavoratrici e lavoratori dello spettacolo.
Nel Recovery Plan, però, non trovano spazio nemmeno le riforme fiscali, a partire da quella dell’Irpef, ma nemmeno il nodo delle pensioni e la cosiddetta “Quota 100”, misura del primo governo Conte, voluta fortemente dalla Lega, che andava a compensare, anche se in parte e in perdita, alcuni dei sacrifici imposti dalla riforma Fornero durante il governo Monti del 2011.
Sanità, il capitolo più sottofinanziato
Se il mondo, e l’Italia in particolare, si trova nella situazione attuale è a causa di una pandemia, che prima di sfociare in crisi economica è stata ed è emergenza sanitaria. I continui tagli alla sanità, la sua privatizzazione e il suo smantellamento progressivo, hanno prodotto una situazione in cui mancavano le terapie intensive e il personale sanitario.
Nel Recovery Plan sono 20,2 i miliardi destinati alla sanità, che rappresentano appena l’8% di tutto il piano. «È il capitolo più sottofinanziato di tutto il piano – osserva Floris – Un Paese come la Spagna, che pure prenderà meno soldi rispetto all’Italia ha deciso di destinare una cifra che va dal 16 al 18% del monte complessivo alla ristrutturazione del sistema sanitario nazionale».
Tra gli obiettivi è positivo che vengano finanziati interventi per la costruzione di reti di prossimità, l’assistenza sanitaria territoriale e la telemedicina, oltre che gli investimenti in innovazione, ricerca, digitalizzazione e ammodernamento della strumentazione, ma le risorse stanziate sono ben poca cosa rispetto ad altri capitoli.
«Fa abbastanza specie – conclude il giornalista – se pensiamo che il nostro problema è stato che non avevamo le terapie intensive e mancavano gli infermieri».
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