Quello che succede ad un compositore che, per la prima volta in vita sua, viene prescelto per la colonna sonora di una produzione importante, in virtù del suo prestigio personale, cambiandogli però le carte in tavola nel corso della realizzazione e quel che gli capiterà pure in seguito, scrivendo delle musiche per un altro titolo ambizioso che, in conseguenza ad una serie di contrattempi e disaccordi col regista, a causa dei quali si ritirerà dal progetto pur avendone comunque composto le musiche, vedrà alla fine affidare ad un musicista straniero, la realizzazione effettiva della colonna sonora.

Esimi radioascoltatori,

per la puntata di giovedì 18 gennaio, come sempre dalle 19 alle 20, vi proporrò un paio di musiche di un altro grande compositore e direttore d’orchestra anglosassone, ovvero Sir Arthur Bliss (1891-1975), del quale Arturo Toscanini apprezzava il balletto “Checkmate” (Scacco matto), musicista che realizzò circa una dozzina di colonne sonore per il cinema e la televisione, prevalentemente per produzioni minori, non certo un numero rilevante nel suo complesso, ma almeno una di queste passata decisamente alla storia, considerata forse, sia pure con una certa esagerazione, la miglior musica da film da parte di un musicista britannico, qualcuno arrivando persino a definirla la miglior colonna sonora di tutti i tempi, il che è comunque fuorviante e rischioso, vista la pletora di autentici mostri sacri operanti in tale ambito a livello mondiale, in quell’epoca. Quel che è certo che trattasi comunque di uno degli esiti massimi di tutti i tempi, autentica pietra miliare e modello per i decenni successivi, per quel che concerne il genere. Sarebbe pure il primo film britannico il cui supporto musicale viene affidato ad un importante compositore autoctono, anche se, a voler proprio fare i pignoli, ci sarebbe da considerare come precedente, la prima versione (1934) di “The man who knew too much.” (L’uomo che sapeva troppo) di Alfred Hitchcock (titolo giustamente più noto nel suo rifacimento del ’56), con le musiche affidate ad un altro importante musicista britannico, Arthur Benjamin (e dirette da Eric Fenby, allievo ed amanuense del compositore Frederick Delius, una volta che quest’ultimo divenne cieco, tra l’altro defunto proprio nel ’34; Fenby compare nel film proprio come direttore d’orchestra, durante la scena che si svolge alla Royal Albert Hall, ruolo che nella versione del ’56, verrà sostenuto da Bernard Herrmann), ma l’apporto musicale di Benjamin è assai più circoscritto ed in pratica limitato alla brevissima cantata “Storm clouds” utilizzata nella scena culminante e ripescata da Herrmann, allungandola di circa un minuto e mezzo, nel successivo rifacimento. – / – Assai più ampio fu, invece, il lavoro di Bliss, che arrivò, in questa occasione, a realizzare circa tre quarti d’ora complessivi di musica, della quale, purtroppo, per tutta una serie di vicissitudini, non si è giunti, almeno fino ad oggi, ad un recupero integrale (nell’esecuzione che verrà mandata in onda, la più estesa ed attendibile fra le varie disponibili, si arriva a circa 32 minuti in totale). Ma procediamo con ordine: nel 1933, Herbert George Wells diede alle stampe il suo nuovo romanzo “The shape of things to come” (La forma delle cose che verranno), noto anche col titolo abbreviato di “Things to come”, il cui successo indusse il produttore cinematografico Alexander Korda a proporne al celebre scrittore la realizzazione filmica, concedendogli non solo la creazione della relativa sceneggiatura, ma anche consentendogli un controllo quasi totale per tutti gli altri aspetti dell’intera faccenda, cosa mai avvenuta prima d’allora. Fu difatti lo stesso Wells a rivolgersi a Bliss, alla sua prima esperienza in tale ambito, per la composizione delle musiche, da realizzarsi per prime, in maniera che fosse il film stesso ad esservi adattato successivamente, contrariamente alla prassi e secondo gli intendimenti iniziali dello stesso scrittore. Indubbiamente questo fu senz’altro un validissimo motivo per accettare tale proposta da parte dell’inizialmente riluttante compositore, il quale si mise al lavoro di buona lena, basandosi su ciò che riteneva essere la versione definitiva della sceneggiatura del film, tant’è che già nell’estate del 1935, con largo anticipo sull’uscita del film, ne diresse pubblicamente, a capo della London Symphony Orchestra, con grande successo di pubblico, una suite da concerto, nel corso della stagione londinese dei “Proms”, incidendone di lì a poco, alcuni brani in studio con la medesima orchestra. – / – Purtroppo per lui, tale approccio venne successivamente considerato troppo radicale in ambito produttivo, poichè Alexander Korda doveva far fronte ad una serie di questioni pratiche, tra finanziamenti, scadenze ed un film da terminare assolutamente entro un certo lasso di tempo, nel mentre Wells veniva praticamente estromesso da un gruppo di esperti nei vari settori, dal suo ruolo di supervisore totale, per cui, assai prima dell’uscita del film, si tornò alla prassi consueta e quindi furono le musiche ad essere riadattate al film e non viceversa, come inizialmente ventilato. Per giunta, il lavoro di ricucitura, taglio, riarrangiamento e riorchestrazione, con l’aggiunta di un coro per i canti natalizi utilizzati nel film e per i titoli di coda, fu effettuato da altra mano anzichè dallo stesso compositore, probabilmente indisponibile se non assai poco desideroso di rimaneggiare le sue musiche (e che difatti rimase parecchio perplesso dal risultato finale), ovvero da un certo Lionel Salter, ed inciso dalla London Symphony Orchestra & Chorus diretti da Muir Mathieson (nome celeberrimo fra gli anni ’30 e gli anni ’60 in ambito cinematografico ed autentica garanzia del genere), il quale, pure lui, ne reinciderà in seguito alcuni brani in studio, ovviamente nella versione riveduta e corretta, con la sola orchestra. E difatti, all’uscita della pellicola in sala, coloro che avevano assistito all’esecuzione pubblica dell’estate del ’35, ebbero qualche problema nel riconoscere queste musiche che comunque costituirono la carta vincente del film, il quale in sè suscito reazioni miste nel pubblico dell’epoca. Inoltre, la partitura originale venne praticamente smembrata alla fine degli anni ’30, per cui la successiva suite da concerto realizzata dallo stesso Bliss, di cui incise 5 brani sempre con la London Symphony, alla fine degli anni ’50, per una coproduzione Decca/Rca Living Stereo, si conforma perciò ai contenuti delle musiche inserite nel film, perdendo alcuni dei brani originali (ma a questo proposito andrebbero tirate in ballo pure le responsabilità dell’editore musicale di Bliss, Boosey & Hawkes, in tale ambito). Nei tardi anni ’60 però, il compositore permise a Christopher Palmer, di realizzare una suite più estesa, che recuperava qualcosa di ciò che era stato precedentemente eliminato. Inoltre nel ’79, ovvero 4 anni dopo la morte di Bliss, Palmer creerà una nuova suite, ancora più ampia, incisa da Sir Charles Groves con la Royal Philarmonic Orchestra, per la Emi/His Master’s Voice. Il passo finale si è però avuto negli anni ’90, quando il compositore e musicologo Philip Lane, prepara quella che è a tutt’oggi la suite più estesa ed attendibile (ed oggetto della presente trasmissione), che recupera quanto più possibile delle musiche originarie con le relative orchestrazioni, sulla base di partiture autografe di singoli brani e delle incisioni discografiche degli anni ’30, dirette dall’autore. Fra i brani mancanti, vi è però un idillio, eseguito nel concerto pubblico dell’estate del ’35, ma successivamente non utilizzato nel film, brano che si suppone in seguito confluito, con qualche taglio e modifica, proprio nel coevo balletto “Checkmate”. – / – Il relativo film, dal titolo “H.G. Well’s Things to come”, uscito il 20 febbraio 1936, prodotto da Alexander Korda (e col fratello Vincent come autore della scenografia), con la regia di William Cameron Menzies, la sceneggiatura dello stesso Wells e con Raymond Massey, Ralph Richardson, Edward Chapman, Margaretta Scott e Cedrick Hardwiche, fra gli interpreti, secondo titolo di fantascienza in senso assoluto (ma primo dall’avvento del sonoro), poichè preceduto, una decina d’anni prima da “Metropolis” di Fritz Lang (dal quale pare abbiano tratto qualche spunto), costituisce una delle realizzazioni più ambiziose e costose dell’epoca (furono stanziate 300.000 sterline del tempo), arrivando al 9° posto nella classifica dei migliori film britannici dell’anno. La pellicola giunse, sia pure drasticamente accorciata, anche in Italia, l’anno successivo, col titolo “La vita futura” (quanto a questo, il film ha avuto vita tormentata fin dagli esordi, poichè dagli originari 130′, si arrivò, nel corso degli anni a ridurlo fino a 72′, attualmente la versione più attendibile fra quelle rintracciabili si attesta sui 97′, si favoleggia su versioni più lunghe rintracciabili chissà dove, ma probabilmente lo sperare nella comparsa miracolosa di una versione integrale, analogamente per quanto concerne le musiche di Bliss, rappresenta un’autentica chimera). Mentre nel romanzo la storia parte dalla vigilia di Natale del 1940, per arrivare al Capodanno del 2106, nel film ci si ferma, guarda caso, al 2036 (quindi a cent’anni esatti dall’anno d’uscita del film). La trama profetizza l’imminente disastro costituito dal 2° conflitto mondiale (sia pure con un anno abbondante di posticipo, situandolo alla vigilia di Natale del 1940, anzichè il 9 settembre 1939, come poi avvenne realmente, ed addirittura facendola terminare ai primi anni ’70, anche per via di una pestilenza che, nel frattempo, manda al creatore più di metà dell’umanità), anticipando una futura realtà dominata dalla tecnologia e dall’incessante spinta verso il progresso continuo (nella scena finale compare persino un gigantesco cannone puntato verso la luna, che spara un grosso proiettile con dentro i novelli cosmonauti, mandandolo in orbita), dove spariscono tutte le religioni ed i governi dei singoli stati, sostituiti da una sorta di coordinazione globale. Bisogna dire che, nonostante qualche ingenuità della trama e qualche bizzarria nell’ipotetica ricostruzione di una vita futura, il film, in b/n, grazie anche ad attori di ottimo livello, mantiene a tutt’oggi una buona godibilità (peccato soltanto che su You Tube ne siano reperibili edizioni, chi più, chi meno, di qualità mediocre, non essendo peraltro facilissimo da reperire nel mercato video), per cui merita, tutto sommato, la visione. – / – Nel 1944, in pieno conflitto mondiale, Bliss venne coinvolto in un’altra produzione ambiziosissima, questa volta addirittura in Technicolor e persino più costosa di “Things to come”, ovvero “Caesar and Cleopatra”, con la regia di Gabriel Pascal, che ne era anche il produttore, su soggetto e sceneggiatura di George Bernard Shaw (tratti dal suo lavoro teatrale), con Vivien Leigh, Claude Rains, Stewart Granger, Flora Robson ed Ernest Thesiger, fra gli attori, in aggiunta ad un migliaio di comparse ed a della sabbia fatta venire appositamente dall’Egitto, per aumentare il realismo delle scene. Inizialmente Pascal voleva Sergei Prokofiev per la parte musicale, ma non riuscendo a contattarlo, si rivolse a William Walton, il quale rifiutò. A questo punto fu Shaw a scegliere Bliss, suscitando il risentimento del regista. Purtroppo, fra i bombardamenti e le restrizioni dovuti alla guerra ancora in corso, che perdurarono per tutto il periodo della realizzazione, i capricci delle cineprese in Technicolor, causa di non pochi grattacapi, il maltempo incessante, il malumore crescente del regista, la gravidanza della protagonista femminile che si concluse con un aborto, faccenda che interruppe temporaneamente la lavorazione, il clima negli studi cinematografici non era certo dei più sereni. Insomma, tuttto ciò che poteva andare storto, andò effettivamente così. Per giunta Bliss ricorderà in seguito l’esperienza assai negativamente, ritenendo Pascal il regista in assoluto più lunatico, con cui gli sia mai capitato di dover lavorare. Ed è per questo motivo che, pur avendo ottemperato, perlomeno in gran parte, al suo incarico, decise, ad un certo punto, di tirarsene fuori. In seguito, la faccenda viene proposta ad un suo più giovane collega, Benjamin Britten, il quale, estimatore di Bliss, declina l’offerta, per cui, in conclusione, il commento musicale effettivo, verrà realizzato dal francese Georges Auric (e diretto dal “solito” Muir Mathieson a capo della National Philarmonic Orchestra). Il film uscirà così l’11 dicembre 1945, con un minutaggio di 138′. Dalle musiche di Bliss, Giles Easterbrook e Malcolm Binney hanno tratto una suite da concerto, verso la fine degli anni ’90, ed è proprio questa che vi verrà proposta nella seconda parte della trasmissione. – / – Postludio: dopo questa vicenda, al compositore verranno proposti soltanto incarichi relativi ad una manciata di produzioni minori (tra cui l’arrangiamento delle musiche di Johann Cristoph Pepusch, su libretto di John Gay, per la versione cinematografica di “The beggar’s opera”, ovvero “L’opera del mendicante”, del ’53) attualmente ricordate principalmente soltanto per le musiche dello stesso Bliss. Unica relativa eccezione, la realizzazione della brevissima sigla per i titoli di testa e di coda di “War in the air” (’54), serie televisiva costituita da una quindicina di documentari bellici di una mezz’ora ciascuno, realizzata dalla BBC sul modello della serie televisiva di grande successo “Victory at sea” (’52), prodotta dalla statunitense NBC, con le musiche di Robert Russell Bennett (su temi di Richard Rodgers) ed eseguite dalla Nbc Symphony Orchestra diretta dall’autore. Nel caso della BBC, a parte la sola sigla affidata a Bliss, le restanti musiche vennero affidate a ben 7 compositori differenti: William Alwyn, Malcolm Arnold, Roberto Gerhard, Antony Hopkins, Ronald Binge, John Veale e Clifton Parker. La relativa esecuzione venne registrata, tanto per cambiare, da Muir Mathieson con l’onnipresente London Symphony Orchestra.


Gabriele Evangelista