Gli incidenti sul lavoro ogni anno aumentano drasticamente, ma lo Stato non fa ancora abbastanza per tutelare i diritti di lavoratrici e lavoratori. Anche dal punto di vista dell’informazione, si dibatte su questo argomento solamente quando c’è un numero di vittime rilevante: se la stampa e i media vengono meno a questo compito e non denunciano la mancata applicazione delle norme che disciplinano la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici, perché di questo si tratta, allora ci pensa la musica.

Uno sguardo ad artisti che hanno trasformato in musica la protesta contro il lavoro.

La canzone di protesta, soprattutto quella d’autore, è un filone musicale sviluppatosi tra gli anni ’60 e ’70, ispirato a movimenti di protesta e lotta per il cambiamento politico e sociale. La musica è così diventata, da mezzo di intrattenimento, mezzo per l’impegno e la partecipazione sociale. Proprio il cantautorato sviluppa gli intenti della canzone di protesta, cercando di trasformare la realtà denunciata con la musica e le canzoni. Cantare fatti di cronaca era l’intenzione di un gruppo di musicisti, poeti e letterati attivo dal 1957 al 1962 che avevano l’obiettivo di partecipare attivamente alla vita politica e sociale italiana: i Cantacronache, ispirati agli esistenzialisti e agli chansonniers francesi. I Cantacronache trasformano la musica in un mezzo per esprimere un’opinione forte, per raccontare un’Italia da una prospettiva anticonformista.


Negli ultimi tempi però, i temi e le suggestioni partiti dai Cantacronache e passati per i cantautori sono passati ad essere di nicchia: il temi della lotta e della protesta oggi sono propri di artisti con un’estrazione settoriale e politicizzata (se non rari casi) tra cui i Modena City Ramblers, 99Posse, The Zen Circus, Caparezza, Lo Stato Sociale e tutta la scena indie. Sembra non esserci più una musica di oggi che ragioni sull’oggi, una musica italiana in grado di fare da colonna sonora ai cambiamenti ideologici, di provocare un terremoto sia esso politico, sociale o culturale esprimendo un dissenso nei confronti della realtà quotidiana. Ci sono artisti come Caparezza che analizzano i nostri giorni in maniera astiosa, provocatoria, condannando la classe dirigente in modo diretto. Nella scena indie, artisti come I Cani puntano sulla descrizione disincantata di quel senso di inadeguatezza e insoddisfazione che contraddistingue oggi la generazione tra i venti e i trent’anni, schiacciata tra lavoretti sottopagati, concorsi pubblici e attacchi di panico sul luogo di lavoro.

Per quanto riguarda invece il panorama internazionale, sono sterminati gli esempi storici di generi musicali e artisti che approcciano il tema del lavoro, riuscendo a dare molteplici interpretazioni del significato di “protesta”: nel secondo Dopoguerra la canzone impegnata di artisti come Woody Guthrie e Bob Dylan porta il focus sulle persone morte sul lavoro, l’avidità dei padroni e lo sfruttamento che distrugge le vite di molti innocenti. Negli anni ‘70 e ‘80 è l’esplosione del punk e dell’hardcore a sconvolgere come un ciclone ogni modo di fare musica, portando di conseguenza nel modo di esprimersi e nelle stesse tematiche la rabbia cieca e il rifiuto per una routine che rende inflessibili e porta a perdere la propria identità: tra gli esempi più conosciuti vi sono l’anticonformismo politico dei Clash e l’allegra fannulloneria dei Ramones, veicolata in pochi ma efficaci accordi, i quali portano ad associare per sempre questo macro-genere musicale alla rivolta nell’immaginario collettivo.