I Cobas lo definiscono un «mondo al contrario», dove il Comune taglia i fondi e le assunzioni promesse per i musei civici e al contempo si propone di salvare dal dissesto finanziario i faraonici musei di una fondazione bancaria.
Ad agitare le acque attorno ai musei bolognesi non c’è solo quello della cultura italiana che dovrebbe nascere in via Carracci per iniziativa privata, ma sostegno pubblico. In questi giorni a far discutere è anche il caso di Genus Bononiae, la rete museale della Fondazione Carisbo che è giunta ai titoli di coda.

Il fallimento di Genus Bononiae e il salvagente del Comune: per i Cobas è «il mondo al contrario»

Il 2023 è stato l’anno dei record per i musei civici bolognesi. Sono infatti stati 600mila i visitatori delle esposizioni civiche cittadine, dati mai visti prima.
Eppure, denunciano i Cobas, anche il settore museale sta subendo un taglio ai trasferimenti. In particolare nell’anno in corso il taglio ammonta al 20%, ma si preannunciano tagli ancora più drastici per il 2025.
Non va meglio sul fronte del personale. «Il personale museale che si è ridotto del 263% negli ultimi 20 anni di blocco totale del turn over ed esternalizzazione dei servizi – scrive il sindacato di base – Le nuove assunzioni nei musei nel 2022 sono state 11, un decimo di quelle promesse trionfalmente dal sindaco, e insufficienti a coprire anche solo i pensionamenti degli ultimi due anni, mentre nel 2023 e per gli anni a venire il piano assunzioni è stato cancellato del tutto, a fronte di un ulteriore 18% di pensionamenti previsti nel prossimo triennio.

È quindi comprensibile lo sconcerto che i lavoratori dei musei civici bolognesi hanno provato dopo aver appreso dalla stampa che il Comune si appresterebbe a rilevare Palazzo Pepoli, uno dei musei di Genus Bononiae, la rete della Fondazione Carisbo.
Palazzo Pepoli è una delle cinque aree museali di Genus Bononiae, tutte verso il fallimento. Per quattro si cerca un nuovo gestore privato, mentre per Palazzo Pepoli, almeno secondo quanto riportato dalla stampa, ci sarebbe un’intesa con il Comune che lo rileverebbe in convenzione per gestirlo insieme al resto del patrimonio museale coinvolgendo, in futuro, anche le raccolte dell’Ateneo.

«Palazzo Pepoli è la sede in teoria più prestigiosa, in realtà più problematica – osserva ai nostri microfoni Enrico Tabellini dei Cobas – A molti sarà capitato di passare davanti alla sede del Museo della Storia di Bologna e di trovarla sistematicamente poco frequentata».
I Cobas lamentano anche che tutta l’operazione starebbe avvenendo all’oscuro dei lavoratori, senza mai coinvolgerli, e si interrogano anche su cosa dovrebbe ospitare Palazzo Pepoli.
«Forse, come qualcuno ventila, proprio il Museo Morandi, da tempo in cerca di una sede autonoma – ma a questo punto, a cosa è servito l’acquisto milionario di Palazzina Magnani?».

Insomma, se le indiscrezioni pubblicate dalla stampa si rivelassero vere, ci troveremmo in una situazione in cui i musei pubblici vanno bene, ma subiscono un taglio dei fondi, mentre quelli privati che vanno male vengono rilevati dal pubblico. Un circolo perverso in cui le Fondazioni bancarie, nate anche per sostenere la cultura, in realtà diventerebbero beneficiarie del salvataggio (e delle risorse) del pubblico.
È per questo che i Cobas parlano di «mondo al contrario».

ASCOLTA L’INTERVISTA A ENRICO TABELLINI: