L’intervista ad Andrea Baranes, economista della Fondazione Culturale Banca Etica, che racconta ai nostri microfoni com’è nato il caso-Mps e quali scenari potrà avere. “È come andare al casinò, ma tenendosi le vincite e scaricando sul pubblico le perdite”.

Nelle ultime ore il caso del Monte dei Paschi di Siena sta assumendo contorni sempre più giudiziari. L’inchiesta avviata dalla procura di Siena sull’acquisizione di Antonveneta conferma che la banca senese ha destinato, in 11 mesi, bonifici da oltre 17 miliardi, verso Amsterdam, Madrid e Londra. Si ipotizzano dunque reati come manipolazione del mercato, ostacolo alle funzioni dell’autorità di vigilanza, aggiotaggio e truffa ai danni degli azionisti.
Il caso Mps, però, non è che uno dei tanti esempi della “finanza-casinò”. A sostenerlo è Andrea Baranes, economista della Fondazione Culturale Banca Etica, che abbiamo intervistato.

Baranes, come si è arrivati a questo punto?
C’è stata una sorta di tempesta perfetta, ci sono questioni inerenti a Mps in cui la magistratura sta entrando, per quanto riguarda i risvolti penali implicati, poi ci sono altre situazioni che potremmo definire generali e che purtroppo riguardano buona parte della finanza, la quale riesce a interpretare le regole. Si tratta quindi dello sviluppo di una finanza-casinò, con tutta questa sua montagna di derivati e di speculazione, di cui Mps è in realtà solo l’ultimo caso – il più evidente in Italia, non certo in scala internazionale – di come la finanza abbia totalmente perso di vista quello che dovrebbe fare: uno strumento al servizio dell’economia è diventato fine a se stesso per fare soldi dai soldi. E i risultati sono quelli che vediamo oggi.

In questa vicenda si è polemizzato molto anche sui controlli e sulla Banca d’Italia…
Sicuramente possiamo distinguere nuovamente due piani: nel caso del Mps c’è stata una mancanza dei controlli e una mancanza di iniziativa. Ricordiamo che la Banca d’Italia ha fatto un’ispezione in Mps dopo la vicenda “Antonveneta” del 2010, ma a questa poi non è seguito alcun provvedimento concreto. Nello stesso momento c’è un secondo piano: quello che ha fatto Mps è del tutto simile alla sentenza di condanna che c’è stata il mese scorso di quattro banche, che hanno venduto un derivato al Comune di Milano. Storia molto simile a quella avvenuta in Grecia, che ha abbellito i prorpi conti pubblici per entrare in Europa. Sono gli stessi meccanismi che usano molte grandi banche per truccare i loro bilanci, farli risultare in attivo e presentare grandi profitti. C’è un sistema di controllo in Italia che non ha funzionato bene e c’è un’assenza di controlli e di regole su scala molto più generale, che riguarda l’intera finanza e che forse è un problema molto più grave della faccenda Mps nello specifico.

Eppure con l’acuirsi della crisi molti leader europei erano concordi sul fatto che fosse necessario riformare la finanza. Non è stato fatto nulla?
E’ stato fatto poco o nulla, effettivamente quando è esplosa la bomba dei subprime negli Usa, ci sono state grandi discussioni al vertice del G20 sul riformare alla radice la finanza internazionale. Si disse basta con la finanza-casinò. In realtà vediamo oggi che i derivati segnano ogni giorno nuovi record, i paradisi fiscali prosperano, una leva finanziaria incredibile di molte grandi banche. Ormai anche le agenzie Onu chiamano ciò un gigantesco casinò finanziario che abbiamo sopra di noi e che è ancora lì. Il che significa che anche i prodotti tossici, tutto quello che abbiamo vissuto nel 2007 (e gli stessi rischi di prima) si ripresentano ancora oggi.

Oggi si parla di una via d’uscita che porterebbe alla nazionalizzazione della banca. E’ una strada percorribile? È giusta oppure no?
In questo momento ci sono i Monti bond, prestiti che sono stati erogati e che dovranno essere restituiti ad un tasso d’interesse piuttosto alto, dal 9% si potrà arrivare fino al 15%. Bisognerà vedere nei prossimi mesi se Mps sarà in grado di rimborsarlo, altrimenti l’unica strada che sembra plausibile in questo momento è quella di una nazionalizzazione della banca. Se la banca deve essere salvata con soldi pubblici, non si capisce perchè non ci debba essere un controllo pubblico, e anche in questo caso parliamo di Mps, ma anche a livello più generale. Negli ultimi cinque, sei anni abbiamo visto alcune delle più grandi banche del mondo salvate da piani pubblici e nello stesso tempo si specula come prima, come se nulla fosse successo. Si tratta di pura follia per qualsiasi sistema economico. Si può continuare a rischiare quanto si vuole e a volte vincere, quando si perde si ha la certezza che interverrà il “giocattolo pubblico” a salvare la situazione, il che è uno scenario inconcepibile. E’ come se io giocassi al casinò, ma lo facessi con soldi non miei. Se vinco, tutto fila liscio; se perdo, paga qualcun’altro. È ovvio che un sistema fondato su questi presupposti non può funzionare.

Questa vicenda è esplosa nel pieno della campagna elettorale, questo forse non aiuta a fare chiarezza su quello che sta accadendo…
Sicuramente la campagna elettorale non aiuta perchè la storia è assediata da forze che spingono in direzioni opposte per fini meramente elettorali. Resta il fatto che la situazione delle fondazioni è molto particolare in Italia, c’è un incrocio di interessi tra politica, finanza e affari che rimanda all’idea del famoso salotto buono di poche persone del capitalismo italiano, dove si continua a decidere tutto. Nello stesso momento l’ingerenza della politica e della campagna elettorale sicuramente distoglie dai veri problemi, il più importante dei quali è che non succeda qualcosa del genere un’altra volta. Sentiamo parlare in questo momento di qualche mela marcia legata alla politica, in realtà direi che c’è un frutteto marcio in cui c’è una piccola parte del mondo bancario che fa quello che dovrebbe fare e si comporta bene, e una grande parte che riesce a interpretare e piegare le regole a proprio piacimento. Finchè non viene posto un rimedio alla radice è inutile continuare a scandalizzarsi per dei casi isolati.