Un nuovo naufragio al largo di Creta, e 117 morti sulle spiaggie libiche. Nel Mediterraneo si continua a morire per effetto della chiusura delle frontiere europee. Amnesty International chiede che venga sospeso l’accordo con la Turchia, perché non è un luogo sicuro dove rinviare i migranti, e sostiene la necessità di un “piano Marshall” per affrontare il fenomeno dei flussi migratori.
Un nuovo naufragio nel Mediterraneo. 302 migranti sono stati salvati dopo che il loro barcone è affondato al largo di Creta. Tre i cadaveri recuperati finora.
I migranti erano finiti in acqua e la maggior parte di loro si è salvata solo grazie alle zattere lanciate da quattro navi commerciali che incrociavano in zona.
In Libia intanto, nella città costiera di Zuwara, la spiaggia si è ricoperta di cadaveri di migranti lungo ben 25 chilometri. Sono almeno 117 gli uomini ritrovati, secondo la Mezzaluna Rossa locale e l’ong Migrant Report. Alcuni sono bambini. La maggior parte degli annegati sono originari dell’Africa sub-sahariana.
Dall’inizio del 2016 ad oggi, secondo un rapporto dell’Unhcr, sono più di 2500 le persone che sono annegate nel mar Mediterraneo.
Questo porta Amnesty International ad aggiungersi alle voci sollevate negli ultimi giorni, che chiedono una sorta di “piano Marshall” per fronteggiare il problema.
“L’intensificazione dei soccorsi in mare, che pure ha salvato molte vite – osserva ai nostri microfoni il portavoce Riccardo Noury – è solo un palliativo che può solo ridurre il numero di morti, che però sono tantissimi”.
Quello che serve, per Amnesty International, è l’attivazione di percorsi legali e sicuri, accoglienza e la distribuzione in tutti i Paesi europei delle persone che arrivano alla frontiera europea.
L’organizzazione umanitaria, proprio oggi, ha lanciato un appello per la sospensione immediata dell’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia, che prevede il trasfermento nel Paese guidato da Erdogan dei migranti giunti in Grecia.
“Quest’accordo è irresponsabile e giuridicamente illegale – sottolinea Noury – perché si basa su un assunto falso, ovvero che la Turchia sia un Paese sicuro dove mandare i rifugiati”.
Amnesty denuncia che la Turchia non ha un sistema di asilo funzionante, perché ospita 3 milioni di rifugiati di cui solo una piccola parte è nei centri di accoglienza, mentre gli altri sono abbandonati a se stessi. Le pratiche per il conseguimento del diritto d’asilo durano anni, lasciando le persone in un limbo giurdico e, soprattutto, la Turchia non rispetta il principio di non rimpatrio. “In questi mesi molti siriani o afghani sono stati rimpatriati nei Paesi in guerra da cui erano scappati e non c’è alcuna garanzia che non succeda ancora”.