1800 lavoratori lasciati a casa sui social network e altri 10mila a rischio, quella di Mercatone Uno è una tragedia annunciata che affonda le sue radici molti anni indietro. Le responsabilità politiche non mancano, e la concomitanza con il periodo elettorale ha visto un balletto di accuse da una parte all’altra. Ma la priorità è un altra, ed è garantire ai lavoratori una fonte di reddito e prospettive future. Ne abbiamo parlato con Stefano Biosa della Filcams-Cgil di Bologna.

Mercatone Uno: quale futuro?

Questa è una vicenda che nasce da lontano – spiega Stefano Biosa della Filcams Cgil Bologna– nasce dalla crisi che parte dal 2012 di un’azienda che aveva fatto sul low-cost del mobile il suo core business. Quando quel modello entra in crisi sostanzialmente l’azienda non è mai stata capace di ristrutturarsi. Sono partiti da allora, quindi dal 2012 sino al 2015 una serie di ammortizzatori sociali che sono passati dal contratto di solidarietà alla cassa integrazione per provare a dare sostegno al reddito ai lavoratori durante la crisi. Non è servito a niente tant’è che nel 2015 per la prima volta l’azienda richiede il concordato preventivo. Il concordato preventivo non viene accettato e l’azienda passa in amministrazione straordinaria. Ossia diventa la prima azienda commerciale, quindi non industriale, a essere ammessa all’amministrazione straordinaria. Vengono nominati 3 commissari straordinari che dal 2015 al giugno del 2018 gestiscono l’azienda e provano sostanzialmente a tenerola a galla e nel frattempo si prova a vendere. In questo periodo continuano gli ammortizatori sociali, continuano i sacrifici per i lavoratori, però si giunge dopo 4 bandi andati deserti all’aggiudicazione di un pezzo del complesso aziendale a questa azienda che si chiamava Shernon Holding Srl. Un’azienda neocostituita che aveva dietro di se’ la figura imprenditoriale di questo signor Valdero Rigoni. Sostanzialmente noi già da allora abbiamo espresso dei dubbi. I nostri timori purtroppo si sono avverati perché sostanzialmente già dall’inizio l’azienda non è mai ripartita. E quindi progressivamente abbiamo visto un’ulteriore deterioramento della struttura aziendale fino ad arrivare all’operazione più eclatante che è stata la richiesta di un nuovo concordato preventivo che è arrivata ad aprile”.

Si arriva così agli sviluppi degli ultimi giorni, con la valutazione negativa del concordato preventivo che il 23 maggio ha portato il tribunale di Milano a decretare il fallimento dell’azienda che il 24 notte ha chiuso tutti i punti vendita lasciando ai social network, al passaparola o ai cancelli chiusi il compito di informare i 1800 dipendenti. Non si è fatto attendere, soprattutto a così ravvicinata distanza dalle elezioni, il ballo delle responsabilità che ha visto il Pd puntare il dito contro Di Maio, Salvini assumersi impegni dall’alto del suo ministero degli interni ormai factotum e Di Maio anticipare il tavolo previsto per il 30 maggio a lunedì 27. “Il ruolo della politica (nella vicenda Mercato Uno, ndr) è sempre stato, diciamo così, pesante. L’imprenditore Valdero Rigoni è stato scelto dal Mise durante il precedente governo -spiega Biosa – anche se la firma sul decreto sostanzialmente l’ha messa Di Maio. Il problema reale al di là del fatto che questo imprenditore non avesse le caratteristiche probabilmente già da allora è che in questi 9 mesi di gestione il comitato di sorveglianza del Mise che è l’organo deputato a sorvegliare sulle crisi aziendali e che è l’ordine deputato a sorvegliare sulle amministrazioni straordinarie sostanzialmente non ha fatto niente. Per cui nonostante noi avessimo segnalato delle problematiche ma soprattutto gli stessi commissari straordinari avessero segnalato delle problematiche con questo imprenditore il ministero non ha esercitato il proprio ruolo. Per cui cascano un po’ dal pero quando avevano tutti i segnali, anche formali banalmente la Shernon Holding non pagava all’amministrazione straordinaria i canoni per la vendita quindi c’erano già dei macrosegnali che la crisi era conclamata. E in questi mesi non è stato fatto niente se non l’incontro che c’è stato a fine aprile quando però era già stato richiesto il concordato. Quindi c’è un ruolo di mancata sorveglianza e in qualche modo dovremo capire perché e di chi sono le responsabilità”.

Ma assegnare responsabilità politiche non è certo la priorità: “Noi abbiamo due obiettivi. Uno nell’immediato che è quello di capire come garantiamo la continuità di reddito ai lavoratori. C’è una norma della legge fallimentare che dice che durante un fallimento i lavoratori non sono né licenziati né vanno a lavorare ma sono sospesi. Congelati senza stipendio e senza ammortizzatori sociali. Il secondo elemento è che durante i fallimenti non c’è più la cassa integrazione per cui questi lavoratori non hanno una prospettiva immediata doi garanzia di reddito. Quello che chiediamo è che si attivi una cassa integrazione e che ci siano tutti i meccanismi formali per trovare un’ammortizzatore sociale in continuità. Quindi questo è il primo problema che proveremo a risolvere nell’immediato. Il secondo problema è come diamo prospettiva. Su questa crisi sono stati spesi milioni di euro in soldi pubblici e vorremmo che ci fosse un intervento definitivo con un imprenditore serio che dovrebbe essere individuato e che rilanci l’azienda. Quindi le responsabilità politiche le vedremo in un secondo momento”.

A rischio, oltre i 1800 dipendenti diretti, se ne aggiungono altri 10mila variamente coinvolti nell’indotto dell’azienda, che domani prenderanno parte al secondo tavolo che si terrà al Mise. E intanto sempre domani in concomitanza con il tavolo del Mise i lavoratori di Mercatone Uno saranno in presidio di fronte alla sede storica dell’azienda a Imola, in via Molino Rosso, dalle 9 alle 12, “per rivendicare la necessaria tutela occupazionale”.

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