Un set denso e di grande pregio, la conferma di una visione musicale come sintesi estrema del vissuto e della ricerca.

In una Bologna fin troppo ricca di appuntamenti jazzistici (Liebman, Miller, Stankow, Frith, Bosso, Gurtu solo per raccontare l’ultima settimna), arriva alle Torri dell’Acqua di Budrio uno dei più quotati musici della scena newyorkese: Mattew Shipp. Il set è per piano solo, una situazione al tempo stesso crudele (mette a nudo l’artista senza nessuna “rete di protezione”) e potenzialmente infinita (liberando di ogni altro elemento l’espressione creativa dell’artista.

Mattew Shipp ha confermato anche in questa occasione tutte le ottime qualità che lo hanno evidenziato a livello internazionale: una eccellente tecnica pianistica, dotata di un tocco vellutato ed una postura perfetta, ed una capacità di rivivere tantissime situazioni della storia del jazz nella tastiera, a volte percorsa  con toni graffianti , a volte con raffinatezze di estrema delicatezza. Si celebra allora l’incontro tra una tradizione classicheggiante all’Art Tatum ed una spigolosità percussiva a memoria tayloriana. Sembra quasi di trovarsi a fronte della “Cosa” di Carpenter, quel mostro cinematografico geniale di Rambaldi che, assimilando tutti gli esseri viventi incontrati, si palesava però con forma propria. Qui però l’unica mostruosità sta nella capacità di Shipp di fare musica incorporando Gershwin, il be bop, Ellington, Newborn, lo stride e il boogie, Monk e, perchè no, anche riminescenze dei grandi pianisti dell’800 europeo. Un concerto che, nonostante la ricchezza di idee elaborate, non concede nulla al pubblico per un facile consumo, una sobriatà di linguaggio che fa del far musica la sintesi assoluta del pensiero creativo.

Due i bis concessi al pubblico attento, con una sorpresa nel primo di questi: al piano si aggiunge Sabir Mateen, musicista della free age, con collaborazioni quali Cecil Taylor, Sunny Murray o la Pan-Afrikan People Arkestra di Horace Tapscott, da qualche tempo busker nelle strade petroniane: l’atmosfera si tinge di new thing, in un interplay tra sax e piano che ci riporta alle antiche incisioni Esp o Byg Actuel.

Una variante a sorpresa che testimonia come quella grammatica d’allora sia diventata imprescindibile, come il beb bop o il New Orleans, per chi pensa, ascolta e suona la musica jazz.