Il governo italiano ha deciso: i due marò non torneranno in India. L’annuncio shock è arrivato ieri sera e stamattina l’India si è ritrovata a fare i conti con un affronto che insulta il proprio sistema legale. Ecco cosa vuole l’Italia e le reazioni indiane.

Nella serata di ieri la diplomazia italiana ha inviato una nota shock alla controparte indiana, annunciando che Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due marò accusati dell’omicidio di due pescatori indiani, non faranno ritorno in India al termine della licenza (in scadenza tra una settimana) accordata dalla Corte suprema indiana in occasione delle ultime elezioni nazionali.
L’atto unilaterale, si legge nel comunicato diramato dalla Farnesina, è stato giustificato sostenendo che “la condotta delle Autorità indiane violasse gli obblighi di diritto internazionale gravanti sull’India in virtù del diritto consuetudinario e pattizio, in particolare il principio dell’immunità dalla giurisdizione degli organi dello Stato straniero e le regole della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) del 1982.”

In sostanza, il dimissionario governo dei tecnici ha ufficializzato la totale sfiducia nel sistema legale indiano, optando per un atto di forza diplomatico molto chiaro: l’Italia vuole scavalcare la giustizia indiana e trovare una soluzione politica, cercando un accordo con l’esecutivo di New Delhi fuori dal consesso legale della Corte suprema, la massima Corte indiana che – consultandosi col governo – stava nominando i giudici della Corte speciale chiamata a dirimere il contenzioso circa la giurisdizione del caso.
Il ministro Terzi ha spiegato che l’Italia è disponibile a risolvere il caso ricorrendo a un arbitrato internazionale o una risoluzione giudiziaria, alzando lo scontro diplomatico a livello internazionale.

La diplomazia italiana ha lamentato la reticenza degli indiani ad attivare un dialogo bilaterale per chiudere il caso. Pressioni in questo senso erano state fatte il mese scorso, chiedendo all’esecutivo di Delhi di “intervenire”.
Come ha avuto modo di chiarire il ministro degli Esteri Kurshid, l’India si è detta impossibilitata ad agire in questo senso – sarebbe stata un’ingerenza della politica ai danni del potere giuridico del Paese – tracciando tra l’altro la situazione speculare che, recentemente, ha visto l’Italia negare all’India il fascicolo dello scandalo Finmeccanica .
I marò, che si sono dichiarati “felici di poter tornare a lavoro”, da oggi sono uomini liberi. L’indagine aperta dalla procura di Roma nel febbraio 2012, infatti, è ferma ai blocchi di partenza: non avendo ricevuto la documentazione del caso dalle autorità indiane, la procura italiana non è in grado di istruire nessun processo.

Cosa succederà ora è difficile da prevedere con precisione. Kurshid ha spiegato che, al momento, un team di legali del governo stanno analizzando il contenuto del comunicato italiano – arrivato qui in India nella notte di ieri – e in base all’interpretazione che ne verrà data l’esecutivo deciderà quali provvedimenti prendere.
Il governo indiano potrebbe raggiungere un’intesa con l’Italia per sedersi al tavolo delle trattative, ovvero ricorrere all’arbitrato internazionale, siglando una sorta di trattato bilaterale per risolvere una querelle che ormai si protrae da oltre un anno.
Ma la Corte suprema, spiegano gli esperti indiani, ha ancora in mano il documento firmato dal nostro Ambasciatore, nel quale l’Italia si impegnava a far tornare i due fucilieri del reggimento San Marco. Un documento ufficiale che, seppur disatteso dalla diplomazia italiana, può esser “fatto valere” dalle autorità indiane.

Ma rimane il fatto che l’iter legale in atto in India potrebbe non fermarsi e arrivare addirittura a una sentenza di colpevolezza in contumacia. Il che aprirebbe scenari inediti.
La Corte suprema non ha ancora rilasciato dichiarazioni, mentre il governo indiano ha sostanzialmente invitato alla calma, prendendosi il tempo per analizzare le carte e studiare una contromossa diplomatica.
Il primo ministro Manmohan Singh, che ha appreso la notizia dai giornali stamattina, ha dichiarato che “la situazione è inaccettabile”, mentre il chief minister del Kerala Ooman Chandy, su tutte le furie, è in arrivo a Delhi per ribadire ancora una volta la posizione dello stato dell’India meridionale: i marò devono essere processati in India secondo le leggi indiane.

L’opposizione e l’opinione pubblica denunciano la beffa italiana, urlando allo scandalo ed evocando un complotto criminale internazionale che, come al solito, vedrebbe nell'”italiana” Sonia Gandhi – presidentessa dell’Indian National Congress, partito di governo – la burattinaia suprema. Accuse cicliche che, oggettivamente, lasciano il tempo che trovano, ma che sono comprensibili rilevando l’anomalia della licenza con la quale i due marò sono potuti tornare in Italia lo scorso febbraio.

A differenza della licenza natalizia, accordata dall’Alta corte del Kerala dietro una cauzione di 826mila euro per tutelarsi dall’evenienza del mancato ritorno dei due accusati, questa volta l’India non ha preteso nessun versamento precauzionale, accontentandosi di una lettera firmata dall’Ambasciatore. Una fiducia evidentemente malriposta.

In queste ore l’India sta però seguendo gli sviluppi dello stupro di gruppo di Delhi: due giorni fa uno dei 5 accusati, Ram Singh, è stato trovato impiccato nella sua cella, mentre la tanto agognata legge antistupro ha incontrato una battuta d’arresto proprio nella giornata di oggi: in mancanza di un parere unanime nella commissione appuntata per stilare il decreto, la formulazione di una legge fortemente voluta dall’opinione pubblica è stata rimandata a data da destinarsi. Fatto che ha concentrato l’indignazione popolare e politica, facendo passare lievemente in secondo piano il grande affronto dell’Italia.

Alla luce delle notizie pubblicate in Italia, siamo costretti a ribadire con forza che, nonostante ormai questa versione faccia parte della vulgata nazionale, lo scontro a fuoco tra l’Enrica Lexie e il peschereccio St. Antony non è avvenuto in acque internazionali, bensì entro la zona contigua, un tratto di mare dove l’India avoca a sé il diritto a far valere le proprie leggi.
La crisi diplomatica attualmente in atto, che nei prossimi giorni coi provvedimenti indiani è destinata certamente a peggiorare, si basa infatti su una interpretazione del diritto internazionale da parte dell’Italia che non coincide con l’interpretazione indiana. La Corte speciale doveva proprio regolare questa discrepanza e la scelta di trattenere i marò in patria ha voluto evitare una sentenza che era ancora aperta, specie sul nodo dell’immunità, come specificato esplicitamente dai giudici della Corte suprema il 18 gennaio.

L’Italia, in definitiva, approfittando di un vuoto legislativo internazionale ha forzato la mano cercando di imporre all’India la sua interpretazione del diritto. Una prova di forza scellerata, poiché crea un pericoloso precedente nei rapporti tra Stati, e che mette a repentaglio i rapporti bilaterali col gigante asiatico, specie quelli commerciali.
La reputazione invece non corre rischi. Quella l’Italia se l’è già giocata ieri.

[Foto credit: sky.it]