Brucia la terra sotto i piedi di Manon (Erika Grimaldi) e di Des Grieux (Luciano Ganci) nella coinvolgente regia di Leo Muscato. I due giovani, intrappolati in una relazione tossica cercano continuamente un luogo in cui andare e vagano tra le quattro ambientazioni dell’opera come fossero sempre in un deserto senza scampo di penombre e chiaroscuri. Energica e appassionante anche la direzione di Oksana Lyniv che accompagna l’uditorio nei continui rovesciamenti di situazione drammmatica cullandoli nei più struggenti frammenti melodici o precipitandoli nelle azioni musicali repentinamente più concitate.
Spettatori e spettatrici della prima della nuova stagione 2024 vengono accolti nel prato antistante il padiglione fieristico da due guardie a cavallo in alta uniforme. Ammirate criniere e code delle splendie bestiole, nel foyer si passa ad ammirare abiti da sera, signore dai lunghi guanti neri, parlamentari e membri della giunta inseguiti dai fotografi. Superati mantelli dorati e paillettes su abiti e accessori, si arriva all’apertura di sipario. Si è a questo punto investiti da un’altra festa, quella sulla piazza di Amiens piena di luci appese a fili e ingombra di tavolini per condividere un buon bicchiere. Lì giovani studenti con i capi cinti di lauro fanno la corte a giovinette “artigianelle” animate, come il libretto testimonia, dalla speranza e dalla loro stessa gioventù. Il terreno è fin dal principio quello del deserto rossastro che sarà protagonista del 4° atto e il cielo è al pari carico d’un arancione bruciante come se ribollisse già per le future sventure. In questo ambiente si muove disinvolto Des Grieux, (Luciano Ganci) anch’egli studente, insieme all’allegro amico Edmondo (Paolo Antognetti) i quali assistono all’arrivo della bella Manon destinata al convento. Ben resa la trasformazione di Manon da timida e composta giovinetta non recalcitrante a seppellirsi in un chiosco, ad ardita pronta a scappare prima con il ricco anziano Geronte e infine convinta ad involarsi con il giovane Des Grieux. Musica e libretto ci guidano dall’iniziale coro festoso ad ogni rovesciamento delle sorti dei personaggi permettendoci di conoscere, di duetto in duetto, pensieri ed emozioni dei e delle protagonisti/e.
Emozionante Ganci in “Donna non vidi mai” e potente l’effetto del richiamo in quel momento del profilo melodico dell’ingresso di Manon (Elika Grimaldi) ad Amiens poi ripreso dalla stessa protagonista presentandosi a Des Grieux cantando “Manon Lescaut mi chiamo”. Da notare la dolcezza malinconoca del duetto di seduzione di Des Grieux e Manon accompagnato dal canto del flauto traverso fino a un pieno accompagnamento di violini in cui spicca a tratti l’arpa, via via in un crescendo concitato al momento della partenza. Fa sorridere l’ironica interpretazione che Claudio Sgura fa del fratello di Manon, quando consola il vecchio Geronte (Giacomo Prestia) pronosticandogli il ritorno di Manon tra le sue braccia “paterne” se egli saprà comprarla con un palazzo, per costituire una “famiglia” di cui volentieri anche lui in prima persona farà volentieri parte, potendo godere, al pari della giovinetta, degli agi della dimora.
Sul terreno accidentato del rosso deserto si muovono i personaggi in tutti gli atti con l’aggiunta o sottrazione di elementi scenici. Nel secondo atto è una preziosa tenda, che riprende i colori del rosso e dell’arancio del cielo bruciante dell’atto precedente, a trasportarci nella dimora di Geronte dove, davanti a un’elegante toeletta siede Manon in guepiere e vestaglia occupata in frivolezze da salotto. Manon è posta letteralmente sotto i riflettori dall’abile regista che la mostra in posa per i fotografi in atto di ostentata dimostrazione del suo potere seduttivo. L’amor sensuale compare anche nei minuetti e nella canzone in stile pastorale L’ora o Tirsi” e ogni elemento fa cogliere l’abbandono sensuale di Manon come una colpa. Tutto è andato esattamente come il giovane Lescaut prevedeva, le richezze hanno convinta la giovane a lasciare lo spiantato studente seppure in “quelle trine morbide” va paragonando il silenzio gelido mortal che esiste tra le braccia dell’anziano amante, alle voluttuose carezze e labbra ardenti a cui l’aveva abituata il giovane amante confermando che solo nella dimora umile del secondo aveva trovato pace e gioia.
Bastano pochi istanti con l’amato per farle decidere di cambiare vita nuovamente abbandonando la lussuosa dimora di Geronte, non senza tentare di portarsi dietro qualche gioiello. Geronte però l’ha denunciata, viene arrestata e condannata ad essere deportata nelle Americhe. Tra accelerazioni e decelerazioni, pieni e vuoti musicali, cantabili e impennate sorprendenti, passando attraverso l’impareggiabile duetto amoroso che domina l’atto, si giunge al finale di grande effetto sonoro che porta ad un sincero applauso di commozione.
Manon attraversa ogni spazio ritrovando il suo elegante cappotto rosso con il delicato colletto nero di velluto, sempre più logoro. Cappotto da scolaretta di buona famiglia al suo arrivo sulla scena del primo atto, diventa cappotto con cui coprire la sua semi nudità di amante d’un vecchio che depreda per fuggire con il suo giovane amante nel secondo atto. Quando Manon appare in catene al porto con lo stesso cappotto sopra la guepierre è segno della sua abbiezione, del suo essere degradata a ladra e puttana degna (secondo la visione dell’epoca, s’intende), dello stesso trattamento riservato a tutte le altre giovani mondane che sfilano per l’appello all’imbarco sulla nave. E’ una scena di grande violenza quella della teoria delle prostitute chiamate una ad una a rispondere all’appello del sergente e a sfilare davanti all’equipaggio e al pubblico degli emigranti. Brave le giovani comparse a rendere il loro dolore, la vergogna e insieme la sfrontatezza di queste donne che sfidano il potere maschile con sberleffi e gesti di ribellione. All’ingresso di Manon tutto il popolo presente e con loro il pubblico, è dolente per lei, un cordoglio sollecitato dalla lirica melodia che accompagna il duetto degli amanti e accentuato dal lento procedere degli emigranti sulla passerella della nave che li porterà lontani dalla patria, chi per fame, chi per la speranza di una vita migliore, chi per una pena da scontare.
Il cielo color cipria del finale del secondo atto, nel terzo è violaceo, l’atmosfera densa di nebbia e le melodie struggenti talora rotte da improvvisi momenti di concitazione per l’attesa di qualche possibile rivolgimento di situazione, che tuttavia non ha esito: il fratello non riesce a far scappare la protagonista costretta a salire sulla nave all’alba allorchè il cielo si dipinge di ocra mentre torna un leitmotive dell’opera scandito questa volta da luttuosi tamburi che indicano l’inevitabilità del viaggio a cui si aggrega Des Grieux come mozzo, per non abbandonare l’amata.
Il cielo del quarto atto è inizialmente color ocra, il regista gioca di penombre con un piano luci che crea effetti cinematografici da far west. Siamo in un deserto americano, in una terra desolata mentre il giorno svanisce, l’aria si fa scura. Continui ritorni di frammenti melodici come reminiscenze del passato ormai lontano d’amore dei due giovani che vagano vagheggiando un soccorso che sanno già essere improbabile. La speranza però non cessa mai nel cuore di Manon, che anela vivere, non vuole morire, ancora avvolta dal suo cappotto ormai logoro, pur ancor rosso sotto la polvere, come la sua passione. Mentre il cielo, quello sì, si arrossa e la terra brucia, si alternano tentativi di reazione all’inevitabile fine e cedimenti, mentre i tamburi dichiarano l’insussistenza di una via di fuga.
Il quarto atto della Manon Lescaut è indicato da Piero Gelli nel Dizionario dell’Opera 2008 come “il suo primo esempio di ‘musica della memoria’” in cui, continua il musicologo “i temi già uditi si susseguono, facendo interagire il passato col presente, e quel poco d’invenzione realizza un’unità poetica saldissima col materiale di tutta l’opera. La musica non deve descrivere nulla, perché nulla accade che non sia il logico effetto di quello a cui abbiamo assistito. La fine di Manon è l’inevitabile conseguenza del suo modo di vivere, e assurge a evento metaforico perché non è soltanto un personaggio che muore, ma un imbarazzante simbolo d’amore, come la disperazione non è solo quella di Des Grieux, ma di tutto il pubblico che partecipa di quella morte.”
In questa nuova epoca i personaggi operistici non anelano a reincontrarsi nell’aldilà, non invocano la morte, certi che sia la vita e non la morte l’unica certezza. L’amore di Manon non muore e sulle sue colpe cadrà l’oblio. Null’altro importa. L’amore è qui maledizione, passione disperata, è condanna ad un incessante movimento in un deserto di desolazione che si fa “labirinto senza muri” come lo ha definito Leo Muscato, in cui i due amanti continuano a girare in cerca di conforto, riparo o di una semplice carezza in un duetto perenne dall’inizio alla fine dell’opera, talora interrorro, e sempre ripreso fino alla tragica fine.
Uno spettacolo da non perdere, emozionante e coinvolgente nella resa registica di Muscato, la direzione di Oksana Lyniv sempre ferma e decisa, elegante appassionata. Erica Grimaldi inappuntabile, sempre perfettamente in personaggio e vocalmente al contempo sensuale e delicata. Luciano Ganci emerge con particolare spicco nel corso della serata rimanendo sempre aderente a ogni modificazione della situazione drammatica, mai eccessivo, convincente. Molto applauditi anche Giacomo Prestia nei panni di Geronte, Claudio Sgura in quelli di Lescaut e il giovane Paolo Antognetti per al vivace interpretazione di Edmondo nel primo atto. Il coro efficacissimo in ogni intervento, merito anche della direzione della Maestra Gea Garatti Ansini; luci e costumi, rispettivamente di Alessandro Verazzi e Sylvia Aymonino, hanno completato il felice esito trovando il modo per esprimere il significato simbolico di ogni passaggio dell’opera attraverso i colori e le ombre. Un lavoro di una squadra che ha ben lavorato sinergicamente in cui ogni elemento si è tenuto agli altri per un risultato che ha entusiasmato il difficile pubblico della prima.
In scena fino al 31 gennaio.