Le sofisticazioni non sono solo alimentari, ma anche lessicali. Nel libro “Mangia come parli”, Cinzia Scaffidi di Slow Food analizza 100 lemmi per riflettere sul legame tra linguaggio e cibo, per smascherare alcune menzogne e per comprendere che il modo in cui parliamo influenza la nostra nutrizione.

Parla come Mangi: il libro  sul legame tra linguaggio e cibo

Nella pubblicità di una nota marca di biscotti troviamo un mite Antonio Banderas, in versione mugnaio, alla prese con una preparazione alimentare. L’attore interpreta un personaggio molto scrupoloso, che segue personalmente tutte le fasi della produzione: dalla macinatura del grano fino alla cottura del prodotto dolciario. L’attore spagnolo però probabilmente ignora che la macina che appare nella stessa pubblicità – con la quale vorrebbe trasformare il grano in farina – in realtà è un frantoio per le olive, così come sembra essere all’oscuro delle regole sanitarie, che impongono il divieto di tenere una gallina viva nel laboratorio in cui prepara l’impasto dei biscotti.
Grossolani errori del genere, agli occhi dei nostri nonni, avrebbero reso la pubblicità piuttosto comica e probabilmente controproducente per i fini commerciali che si propone. Ai nostri occhi, invece, appare bucolica e suscita quell’atmosfera di rustico, tradizionale e genuino che è esattamente l’obiettivo che l’industria alimentare si era prefissata.

Basterebbe questo esempio per fare capire come il linguaggio, visivo e non solo, abbia molto a che fare col cibo e come noi consumatori, oggi, ci troviamo di fronte ad un problema che la dice lunga sulle nostre conoscenze e, dunque, sulla qualità di quello che compriamo e mangiamo.
È da ciò che prende le mosse “Mangia come parli”, il libro scritto da Cinzia Scaffidi di Slow Food che riflette proprio sul linguaggio connesso al cibo nell’epoca dei “fast food” e dei “formaggi light”.
Attraverso l’analisi di 100 lemmi della lingua italiana attuale, Scaffidi analizza, smonta e ricostruisce le sofisticazioni semantiche che stanno alla base del modello alimentare contemporaneo e che inevitabilmente hanno modificato anche i nostri comportamenti.

Centrale, nel volume, il lemma “qualità” sul quale, nel corso degli ultimi decenni, è stata effettuata una modificazione semantica non indifferente. “Per definire la qualità del cibo – spiega l’autrice ai nostri microfoni – noi oggi diciamo ‘mi piace’ o ‘non mi piace’ e non, invece, ‘è buono’ o ‘non è buono’. Possono sembrare sfumature, ma nel primo caso stiamo parlando di noi e delle nostre preferenze, mentre nel secondo parliamo del prodotto, delle sue qualità organolettiche, dell’impatto che ha sull’ambiente, sui diritti dei lavoratori e delle persone, delle conseguenze che esso produrrà sulla nostra salute”.
La grande industria alimentare gioca su ciò ed è per questo che oggi ci sono sempre più cibi industriali progettati per piacere, quindi essere venduti, e non per essere buoni.

Allo stesso modo, oggi occorrerebbe riappropriarsi di termini che sono stati saccheggiati dall’industria alimentare, che ne ha profondamente modificato i significati. “Un formaggio non potrà mai essere magro – sottolinea Scaffidi – eppure ci viene venduto per tale”. Così come sugli ingredienti, sulla provenienza, sull’artigianalità e sulla tradizionalità di un prodotto ci vengono raccontate colossali menzogne, alcune consentite dalla legge. In Italia, ad esempio, è sufficiente che solo la fase finale di un lungo ciclo produttivo preveda l’intervento dell’uomo per dare ad un prodotto l’attributo di “artigianale”. Allo stesso modo, è sufficiente che il latte di vacche ungheresi venga imbottigliato in Italia per vendere quel prodotto come italiano.

Un linguaggio menzognero non può che guidarci in modo fuorviante nella scelta del cibo che acquistiamo e mangiamo. E se è vero che il linguaggio muta nel tempo e a seconda dei contesti sociali – basti pensare che poche decine di anni fa il termine “grasso” aveva una valenza positiva e “magro” negativa, mentre ora è l’esatto contrario – è altrettanto vero che oggi noi abbiamo smesso di farci domande, abbiamo delegato all’industria alimentare la cura della nostra alimentazione e, in ultima analisi, della nostra salute. Gli effetti, però, sono sotto gli occhi di tutti e quello che Scaffidi vuole suggerire attraverso il suo libro, quindi, è che dovremmo tornare ad interessarci di cosa e come mangiamo, attraverso delle competenze che ci rendano consapevoli e liberi.