Come ha già scritto qualcuno citando Fantozzi, il taglio dei parlamentari è una cagata pazzesca. Aggiungo: buono solo per tentare di riconquistare un po’ di consenso in conclamata discesa, facendo leva sull’odio generico verso “i politici”, espressione evergreen nel popolino.
Tutti i parametri concreti della misura approvata quasi all’unanimità alla Camera sono negativi: il risparmio è stato conteggiato in 1,50 euro all’anno per cittadino, la rappresentanza diminuirà e, in soldoni, è stato compiuto un altro passo significativo verso l’oligarchia, il governo di pochi.

Meglio, per quanto sempre di matrice populista, sarebbe stato ridurre lo stipendio ai parlamentari già presenti. Il risparmio sarebbe stato più significativo e strutturale, salvo – in caso di sforbiciata troppo intensa – riservare l’attività politica a chi non ha problemi ad arrivare a fine mese.
Ma la sobrietà, si sa, non è di questa era politica. E nemmeno la competenza, che rimane il tema inevaso della questione. Il vero problema, infatti, è che abbiamo una classe dirigente complessivamente di infimo livello, sia che i parlamentari rasentino il migliaio, sia che siano seicento.
Quest’ultimo è un problema culturale e del sistema educativo di non facile soluzione. Sia perché i rappresentati non sono, in via generale, tanto meglio dei rappresentanti, sia perché a risolvere il problema, con misure che qualifichino l’istruzione e il livello culturale, dovrebbero essere gli stessi che il problema lo incarnano.

Ora si parla di referendum. È vero, spesso nella storia italiana è stato questo strumento a fermare le varie derive costituzionali che il capetto di turno voleva operare.
La sensazione, però, è che stavolta il gol in zona Cesarini non possa arrivare, sia perché l’argomento non viene percepito come dirimente, sia perché la retorica genericamente antipolitica è talmente tanto sedimentata da aver innescato un istinto distruttivo: i politici inetti ci hanno portato a star peggio, ma anziché trovare le formule per costringerli a correggere il tiro e a fare le politiche giuste, vogliamo solo che se ne vadano, che spariscano. Una sorta di nichilismo fatalista, ma anche di comodo: le battaglie vere comportano impegno e mobilitazione, è molto meno faticoso lanciare anatemi nei bar contemporanei, i social network.

Ora però non facciamoci prendere da eccessi di indignazione. Lo svuotamento della democrazia in senso oligarchico è cominciato ben prima dell’odierno taglio dei parlamentari. Lo abbiamo già visto con la trasformazione del Parlamento in ufficio burocratico del governo, attraverso un abuso dei decreti legge e delle leggi delega; lo abbiamo già visto con il tradimento e il mancato rispetto dei risultati referendari, come quello per l’acqua pubblica e il disinnesco di quello contro i voucher; lo abbiamo già visto con l’abolizione della parte delle Province che consentiva ai cittadini di esprimere rappresentanza, mentre la parte decisionale e soprattutto i costi della macchina sono rimasti tali e quali.
Sono anni che la democrazia rappresentativa viene indebolita, ridotta, boicottata dalla quasi unanimità delle forze politiche. Quelle che si opponevano a questa deriva sono già state ostracizzate dal Parlamento.
Quando ci renderemo conto di tutto ciò e decideremo di iniziare seriamente a contrastarlo, potrebbe essere già troppo tardi.