La sentenza della Corte Suprema statunitense che ha di fatto abolito l’aborto come diritto federale rappresenta un shock per tutto il mondo, non solo per il continente americano.
Dalla pronuncia, venerdì scorso, ad oggi si sono moltiplicate le manifestazioni in molti degli Stati americani, dove le donne sono scese in piazza per protestare contro un arretramento che rischia di avere un effetto a catena.
In diverse parti del mondo, Italia inclusa, infatti, hanno esultato i movimenti antiabortisti e la preoccupazione è che la sentenza statunitense apra la strada ad un generale arretramento rispetto al diritto all’aborto in altre zone del pianeta.

Diritto all’aborto: le restrizioni nel mondo e l’aborto clandestino

Quello degli Usa, però, non è l’unico fronte aperto sul diritto all’aborto che si è registrato in questi anni. A diverse latitudini e longitudini il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza è stato oggetto di campagne e mobilitazioni di segno opposto, che hanno visto storiche conquiste da un lato e pericolose involuzioni dall’altro.
A livello globale è il Center for reproductive rights a fare una panoramica del diritto all’aborto. Una panoramica che è funestata da 24 Paesi che non consentono l’aborto in alcuna circostanza, nemmeno quando è a rischio la vita o la salute della donna. Ad essi vanno aggiunti altri 42 Paesi dove l’interruzione di gravidanza è possibile solo quando la vita della donna è a rischio.
Infine ci sono 51 Paesi in cui è possibile abortire per preservare la salute fisica e mentale delle donne, in particolare quando ci sono motivi sanitari o terapeutici che ne fanno un diritto, quando la donna è stata vittima di uno stupro, quando il feto ha delle malformazioni o quando è il frutto di un incesto.

Come alcune femministe hanno sottolineato dopo la sentenza americana, non viene vietato l’aborto, ma l’aborto sicuro. Il rischio, infatti, è di un ritorno all’interruzione di gravidanza clandestina, che moltiplica i pericoli per la salute della donna stessa. Il report del Guttmacher Institute relativi al 2019 dicono che ogni anno nel mondo ci sono 121 milioni di gravidanze indesiderate, di cui 73 milioni si concludono con un aborto (il 61% del totale). Il calcolo degli aborti clandestini si attesta sui 25 milioni e il bilancio delle conseguenze ha le dimensioni di una guerra: 39.000 donne morte ogni anno e 7 milioni di ospedalizzazioni per complicanze. Negli ultimi 30 anni il numero di interruzioni di gravidanza non sicure sarebbe aumentato del 15% nei Paesi dove vigono delle restrizioni.

Aborto, una questione di genere, classe e razza

A farci una panoramica delle possibili conseguenze che la pronuncia della Corte Suprema statunitense produrrà ci viene fatta da Liv del collettivo Mujeres Libres di Bologna. «Potrebbero essere 26 gli Stati ad abolire o ridurre il diritto all’aborto – racconta l’attivista – E gli aborti non sicuri potrebbero aumentare del 14%, con conseguente aumento delle donne o persone non binarie che perderebbero la vita, quindi quando si parla di Pro Life lo si usa in modo strumentale contro le donne».
Le cronache riportano che in alcuni Stati che hanno annunciato la proibizione dell’aborto alcune cliniche avrebbero già chiuso i battenti.

Guardando poi alle statistiche sugli accessi all’interruzione volontaria di gravidanza negli Stati Uniti è possibile comprendere quali saranno le donne che verranno più penalizzate dalla sentenza. Si tratta spesso di donne single, molto giovani, appartenenti a classi sociali meno benestanti e spesso anche afrodiscendenti. Sono queste ultime, in particolare, a ricorrere maggiormente all’aborto negli Stati che hanno annunciato o già pongono restrizioni. Ecco perché, oltre che una questione di genere, lo stop all’aborto arrivato negli Usa rappresenta anche una questione di classe e di razza. Le donne delle classi più agiate avranno la possibilità di viaggiare per accedere al servizio in uno degli Stati che ancora lo consentono, possibilità preclusa alle donne più svantaggiate e marginalizzate.

Viste le proteste registratesi in questi giorni, gli occhi sono puntati sulle elezioni di mid term che si terranno il prossimo novembre. «La speranza è che ci sia un movimento o un attivismo capace di condizionare i risultati – osserva Liv – Si spera che persone finora non sicure per chi votare o donne repubblicane che però non condividono la sentenza orientino il proprio voto a favore di esponenti e partiti che nel proprio programma si propongono di risolvere o quantomeno attenuare i danni della sovversione della Corte Suprema».

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