Molto spesso – e forse, troppo – gli italiani si lamentano dell’arretratezza del proprio paese, soprattutto quando si parla di procedure e di tecnologia. Eppure, alcuni dati che ci arrivano dall’Europa mostrano un’altra faccia della medaglia, che rivela una situazione che ci lascia ben sperare per il futuro.

Ai primi posti nella crescita digitale

Proprio così: il Belpaese, spesso malignato sia dai propri abitanti che dall’opinione pubblica internazionale, rivela una straordinaria, e insospettabile, qualità come centro di incubazione della digital innovation: e questo ce lo dice lo European Digital Innovation Hub nel suo più recente report sullo stato dell’arte della digitalizzazione degli stati europei.

Su un totale di 40, ben 13 progetti presentati nel nostro paese sono stati definiti di eccellenza, e come tali, riceveranno un contributo del 100%, mentre altri 17 hanno ricevuto il Seal of Excellence da Bruxelles, e come tali sarà ammesso un contributo del 50% tramite i fondi erogati dal PNRR. E di questi 30 progetti, la parte del leone l’ha fatta una città in trasformazione, che sta diventano un vero e proprio polo informatico a livello nazionale, ovvero Torino.

L’informatica è un vero e proprio fulcro, e il futuro di molti settori passa infatti da questa trasformazione digitale. Per esempio, il settore dei casinò online è cresciuto in modo esponenziale con la digitalizzazione mondiale, e ha creato un grande interesse fra i giocatori che si collegano sui loro computer e device per scoprire i migliori bonus dei casinò online a casino.com e in altri portali. E questo ha creato un business mondiale che è previsto raggiungere gli 88 miliardi di dollari nel 2023.

Cosa sono i Digital Innovation Hub?

Si tratta di strutture di servizi alle aziende attive quali motori della trasformazione digitale delle imprese, soprattutto in settori chiave quali la riduzione del footprint di carbonio e l’ottimizzazione del consumo di energia. Attraverso questi centri si stabilirà un rapporto a due vie con le istituzioni centrali europee, che potranno anche intervenire direttamente con consulenze e finanziamenti per sostenere le PMI e le agenzie della PA in trasformazione.

Tra i diversi progetti, molti sono articolati intorno ai temi più importanti del momento, come l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale nella gestione aziendale, l’utilizzo di sistemi basati sulla blockchain per validare e registrare operazioni e processi, e sistemi e applicazioni di cybersecurity per proteggere il proprio spazio digitale da intrusioni di hacker.

Quello che si evince dai progetti presentati è che l’Europa ha premiato il lavoro di squadra: gran parte dei progetti presentati, infatti, proviene da consorzi di sviluppo o da collaborazioni fra diversi attori, fra cui fanno spicco le grandi università italiane e i loro poli di ricerca. Insomma: “fare squadra” paga – e questo dovrebbe convincerci che, anche in altri settori, un’azione comune ottiene di più di tante azioni individuali che non godono di un coordinamento centrale.

Ma sono davvero tutte rose e fiori?

In realtà la situazione è molto più complessa di così, e rivela un tessuto connettivo dove la ricerca è sicuramente ai primi posti in Europa ma purtroppo, non è sostenuta da adeguati investimenti aziendali. Questo è invece la conclusione a cui è pervenuto il rapporto Innotech Community di The European House-Ambrosetti.

Presentato all’inizio del 2023, il rapporto mostra le grandi luci e le profonde ombre che caratterizzano la società italiana, capace di produrre delle eccellenze di grande livello, che tutta l’Europa ci invidia, ma che sono costrette ad annaspare in un mare di strutture e di procedure che sono state rese ormai obsolete dalla progressione della Digital Society. Basti pensare che in diversi casi esiste ancora la necessità di produrre formulari e informazioni cartacee trasmesse via fax, un sistema che nell’Europa contemporanea è ormai stato messo ormai in pensione.

Comunque sia, i risultati di questa arretratezza mostrano impietosamente la percentuale degli investimenti italiani in Ricerca & Sviluppo, che si situano ben sotto la media europea UE27 (2.2% rispetto al PIL contro l’1.5% dell’Italia) – una quantità che non solo ci esclude dai primi 15 paesi al mondo, ma rappresenta il 25% degli investimenti compiuti dalla Germania, nostro concorrente storico nei settori della tecnologia avanzata. Insomma: una fotografia che rispecchia una situazione che deve fare ancora molti passi per essere davvero competitiva a livello mondiale.

Quali sfide deve affrontare l’Italia?

Aldilà di questi dati, le criticità del tessuto italiano sono ben note, anche se ormai la situazione sta migliorando, e riguardano aspetti cronici quali la diffusione la copertura del paese con un’adeguata rete di dati, e uno snellimento delle procedure, ancora lente e farraginose, utilizzate da gran parte del tessuto produttivo e amministrativo italiano, che frenano il nostro sviluppo rendendoci meno competitivi in Europa e nel mondo.

Tuttavia, considerando la situazione sotto un altro punto di vista, ci accorgiamo che il nostro handicap iniziale, che purtroppo stiamo scontando sul campo, dovrebbe assicurarci dei margini di crescita molto più sostenuti degli altri paesi, che invece hanno esaurito la loro spinta propulsiva primaria e stanno migliorando i dettagli. E questo rappresenta una consolazione che apre le porte di obiettivi di lungo periodo, che potranno essere centrati se tutta la filiera industriale e i suoi attori inizierà a voler davvero cambiare le cose.

In sintesi, la nostra corsa verso la digitalizzazione è come una gara di fondo, dove il nostro atleta è partito più lentamente. Vedremo se, con la giusta strategia, sarà in grado di cambiare il corso della gara.