La minaccia di una degenerazione del conflitto in Ucraina in una guerra nucleare viene evocata sempre più esplicitamente anche dai capi di Stato. Il presidente statunitense Joe Biden, ad esempio, ieri ha parlato di un rischio di “Armageddon nucleare”.
Mosca con l’annessione arbitraria delle regioni ucraine da un lato e Kiev con il decreto firmato dal presidente Volodymyr Zelensky che vieta ogni negoziato dall’altro sembrano lontanissime dal trovare una soluzione diplomatica del conflitto.
L’Europa non sa esprimere una posizione diversa da quella voluta dalla Nato e non contribuisce in alcun modo alla de-escalation. Eppure un gesto di distensione ci sarebbe e riguarda l’Italia: la ratifica del Trattato contro le armi nucleari.

Armi nucleari: «L’Italia firmi il Trattato come segnale di pace»

A sollevare nuovamente il tema della mancata adozione da parte dell’Italia del trattato è Silvia Zamboni, consigliera regionale dell’Emilia-Romagna per Europa Verde, che ha presentato una risoluzione in Assemblea legislativa che impegna la giunta a fare pressioni, ad esempio attraverso la conferenza Stato-Regioni, affinché il governo adotti il documento.
«Sarebbe un segnale importante nella direzione della distensione e non della escalation militare – afferma Zamboni ai nostri microfoni – Tanto più che in una rilevazione statistica del novembre 2020 risultava che l’87% degli italiani era favorevole all’adozione del trattato».

Il Trattato contro le armi nucleari è stato adottato a luglio del 2017 con il voto favorevole di 122 Paesi in sede Onu. Come accade a questo genere di documenti, l’entrata in vigore è vincolata alla firma di 50 Paesi del mondo, che è avvenuta nell’ottobre del 2020 grazie all’Honduras.
I Paesi che aderiscono al Trattato si impegnano ad impedire lo sviluppo, i test, la produzione, il possesso, il trasferimento, l’uso o la minaccia dell’uso di armi nucleari. Non solo: il divieto è esteso anche allo stazionamento di testate nucleari altrui sul proprio territorio.

È quest’ultimo, forse, il nodo cruciale che riguarda l’Italia. Il nostro Paese, infatti, potrebbe ospitare fino a 40 testate nucleari della Nato nella base militare di Ghedi che, con la ratifica del Trattato, non potrebbero starci.
In caso di una degenerazione e un’estensione del conflitto, però, la presenza di armi nucleari su suolo italiano ci renderebbe automaticamente possibili target.
È anche per questo che è nata anche una campagna, intitolata “Italia, ripensaci“, promossa dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e da Senzatomica.

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