La rete D(i)ritti alla Città ha fatto irruzione questo pomeriggio in Consiglio comunale a Bologna per chiedere conto del destino della proposta di delibera di iniziativa popolare sugli spazi pubblici dismessi in città.
Dopo aver depositato il testo, nato da un processo di scrittura collettivo, D(i)ritti alla Città si è vista bocciare la proposta di delibera dalla segreteria comunale. A quel punto, era il luglio scorso, ha scritto prima alla segreteria comunale e poi alle consigliere e consiglieri comunali, ma senza ottenere risposta.

Che fine ha fatto la delibera di iniziativa popolare sugli spazi pubblici dismessi?

La proposta di delibera di iniziativa popolare nasce in seno a un dibattito caldo a Bologna, fatto di sgomberi di spazi sociali, mancate assegnazioni, svendite ai privati di patrimonio pubblico. E soprattutto nasce da una mappatura degli spazi pubblici, comunali o di altri enti, che in città conta circa duecento immobili abbandonati.
Di qui un percorso partecipato dal basso che ha elaborato una proposta complessiva su come trattare questi beni pubblici, con vincoli sulla loro destinazione e formule innovative di affidamento e gestione. Su questo documento non è stato possibile raccogliere le duemila firme necessarie perché l’iter per arrivare alla discussione in Consiglio comunale si è subito bloccato dal momento che la segreteria comunale ha ritenuto illegittima la proposta.

«Noi abbiamo utilizzato uno strumento di partecipazione previsto dallo Statuto comunale – spiega ai nostri microfoni Mauro Boarelli di D(i)ritti alla Città – La segreteria comunale ci ha comunicato che, a suo parere, questo atto sarebbe illegittimo. E lo ha fatto con una comunicazione di carattere burocratico senza neanche convocarci, nonostante lo Statuto comunale e il regolamento che ne segue dicano che i comitati promotori devono essere ascoltati anche al fine di integrare o modificare la proposta affinché sia ammissibile».
Secondo D(i)ritti alla Città, inoltre, le obiezioni avanzate dalla segreteria comunale non si limitano al tecnico, ma sfociano nel politico che invece sarebbe competenza del Consiglio comunale.

Ecco perché i promotori hanno prima risposto alla segreteria comunale e poi scritto a tutte le consigliere e i consiglieri comunali di Bologna per renderli partecipi di quello che stava accadendo. Né la componente tecnica, né quella politica del Comune, però, hanno dato una risposta. Di qui la necessità dell’irruzione di oggi pomeriggio durante la seduta dell’organo politico cittadino.
«La sensazione è che non si voglia discutere di questo tema specifico – commenta Boarelli – e che gli istituti di partecipazione, quando sono reali e agiti dalla base e non incanalati dall’Amministrazione, quando hanno degli obiettivi concreti che possono confliggere anche con gli indirizzi politici, allora la partecipazione non va più tanto bene».

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