Dall’ordinanza per vietare di dare cibo ai profughi alle barricate contro l’arrivo di rifugiati, dalle lamentele sui troppi migranti nelle case popolari, fino ai provvedimenti legislativi di Minniti e Orlando. Nei territori quanto al governo, molti provvedimenti di sindaci e ministri del Pd hanno il sapore autenticamente leghista.

Quando i Dem parlano da leghisti: non è la prima volta

In tema di immigrazione il Partito Democratico assomiglia sempre più alla Lega Nord. E la diversità rivendicata in Europa dall’Italia sul tema dell’accoglienza dei richiedenti asilo cozza coi provvedimenti governativi e con alcune misure o dichiarazioni di enti locali guidati da esponenti Pd.
Il “peccato originale” è stato la legge Turco-Napolitano del 1998, quella che ha introdotto i Centri di Permanenza Temporanea (Cpt) nei quali per molti anni sono stati rinchiusi i migranti senza permesso di soggiorno, ma anche le misure più recenti di diversi esponenti democratici hanno una chiara matrice xenofoba.

IL LEGHISMO AL GOVERNO
I provvedimenti che hanno fatto più clamore sono, per portata, quelli governativi. Il decreto legge che porta il nome del ministro degli Interni Marco Minniti ha superato, per molti aspetti, il nefasto operato dell’ex ministro Roberto Maroni durante il governo Berlusconi. Minniti non solo si è inserito nel solco del leghista, riproponendo la detenzione amministrativa dei Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie), ma ne ha addirittura aumentato il numero (uno per ogni regione).
Inseguendo lo stereotipo del migrante che viene a farsi mantenere nei centri di accoglienza, proprio della retorica salviniana, inoltre, Minniti prevede il lavoro obbligatorio (e gratuito?) per i richiedenti asilo.

Il dl Minniti, in aggiunta, recepisce una delle proposte avanzate da un altro esponente Pd, il guardasigilli Andrea Orlando, che ora figura curiosamente come candidato della sinistra nel congresso del partito. La misura riduce le garanzie giuridiche dei richiedenti asilo nell’iter per l’ottenimento della protezione internazionale.
Attualmente le domande di asilo sono valutate da una commissione mista, composta da esponenti della Prefettura, della Questura, dell’Unhcr e dei Comuni. Personale non sempre adatto a valutare le situazioni da cui scappano i migranti. L’ordinamento prevede che, in caso di diniego della domanda, il migrante possa fare ricorso in due gradi di giudizio presso i tribunali. Orlando e Minniti, però, riducono le possibilità ad un solo grado.

IL LEGHISMO NEI TERRITORI
Anche a livello locale alcuni esponenti del Pd sono protagonisti di misure o dichiarazioni dal sapore xenofobo. Il fenomeno dei flussi migratori, gestito ancora oggi in maniera emergenziale, ha spinto alcuni esponenti democratici a gesti ed ordinanze che non hanno nulla da invidiare a quelle dei loro colleghi del Carroccio.
A Ventimiglia, ad esempio, il sindaco dem Enrico Ioculano ha pensato di gestire la pressione esercitata dai migranti sulla frontiera con la Francia, presidiata dalle forze dell’ordine, con sgomberi di accampamenti e un’ordinanza che vieta ai cittadini di dare da mangiare e da bere ai migranti. Un po’ come succede negli zoo, dove i cartelli scoraggiano gli astanti a lanciare cibo agli animali in gabbia.

Se l’episodio razzista di Goro, dove alcuni cittadini hanno fatto le barricate contro l’arrivo di donne e bambini rifugiati, ha fatto molto clamore mediatico, meno clamore ha fatto il gesto di Raffaele Scarinzi, sindaco Pd di Vitulano (in provincia di Benenvento), che ha fatto scaricare montagne di terra per bloccare le strade da cui sarebbero dovuti arrivari nuovi richiedenti asilo mandati dalla Prefettura. “Non siamo razzisti, ma la prefettura ha violato le regole”, si è giustificato il primo cittadino, utilizzando la tipica formula (non sono razzista ma) che rivela una coscienza xenofoba.
Analoga, ma priva di gesti eclatanti, l’iniziativa del sindaco Pd di Rivarolo, nel Canavese (tra Torino e Ivrea), Alberto Rostagno. Il primo cittadino ha scritto una lettera al prefetto a nome dei 46 Comuni della zona per dire basta all’arrivo dei migranti.

Se quelle appena descritte sono proteste di piccoli Comuni, poco abituati a fronteggiare situazioni inedite, di sicuro più dimestichezza dovrebbero avere grandi capoluoghi come Firenze.
“Tra emergenza sfratti, graduatorie dell’emergenza sociale e regole per la graduatoria ordinaria degli alloggi popolari finiamo per avere un terzo di italiani e due terzi di immigrati. Questo non funziona, questo significa trasformare i nostri complessi immobiliari in ghetti. La legge regionale non funziona, occorre portare a dieci anni di residenza il criterio per poter fare domanda di una casa popolare”. Firmato Dario Nardella, sindaco Pd di Firenze.