Dopo il disastro climatico in Emilia-Romagna si abbatte un nuovo colpo sul tema ambientale per la Regione. Nello specifico, oggi Legambiente ha annunciato la propria uscita dal Patto per il Lavoro e per il Clima, il progetto condiviso lanciato nel 2020 da viale Aldo Moro con cui la stessa Regione Emilia-Romagna consultava e concordava con le parti sociali le politiche in materia economica ed ambientale. La decisione è maturata perché in due anni e mezzo le politiche regionali in tema ambientale vengono reputate incoerenti.

Patto per il Lavoro e per il clima, le ragioni dell’uscita di Legambiente

Sono diverse le ragioni che hanno portato Legambiente ad uscire dal Patto. La principale riguarda «l’incoerenza delle politiche pubbliche in materia ambientale», spiega l’associazione ambientalista. A partire da azioni non in linea con gli obiettivi fissati, in particolare quelli per la transizione ecologica e l’abbandono delle fonti fossili, che sono emblematicamente rappresentate dal rigassificatore di Ravenna.
Ma è anche la «mancanza di coesione tra i firmatari», registratasi in particolare con le titubanze e le reticenze nei confronti degli impianti di fonti rinnovabili, come ad esempio i parchi eolici in Romagna e in Appennino. E poi ancora i temi della mobilità, del consumo di suolo, della logistica e dei rifiuti.

«La decisione è maturata da tempo, già prima delle alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna – precisa ai nostri microfoni il presidente regionale di Legambiente, Davide Ferraresi – Speriamo che queste cose non accadano più in futuro e che siano servite per capire l’urgenza del contrasto ai cambiamenti climatici. Ciò che occorre è che si inizi da subito a lavorare per l’adattamento, che richiederà tempi lunghi».
All’interno del Patto, in ogni caso, per Legambiente si è favorito lo sviluppo economico, ma manca la volontà politica per la transizione energetica. «Per approvare il rigassificatore ci sono voluti 120 giorni, mentre per impianti rinnovabili ci vogliono mediamente due o tre anni», sottolinea la direttrice di Legambiente, Paola Fagioli.

Legambiente non è la prima associazione ambientalista a disconoscere il Patto per il Lavoro e per il Clima. Il progetto era già stato bocciato nel dicembre scorso dalla Rete Emergenza Climatica e Ambientale (Reca) dell’Emilia-Romagna, che nel dicembre scorso, a due anni dall’entrata in vigore, aveva sostenuto che il Patto «non solo non ha prodotto la svolta che si prefigurava, ma in alcuni casi ha addirittura prodotto una regressione».
A differenza di Legambiente, però, Reca non è mai entrata nel percorso istituzionale, ma aveva presentato un proprio “Patto per il Clima” dal basso, più stringente di quello della Regione.

Le due associazioni ecologiste, però, hanno lavorato insieme all’elaborazione di 4 proposte di legge di iniziativa popolare su temi ambientali, per le quali avevano raccolto le firme, come previsto dai regolamenti regionali. La settimana scorsa, però, i proponenti hanno lamentato che, nonostante quanto scritto nella legge regionale sulla partecipazione, a sei mesi dal deposito dei testi e delle firme l’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna non aveva incardinato nelle commissioni le proposte e, di conseguenza, non le aveva né esaminate né discusse.

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