Chiara Guidi e Vito Matera hanno dato vita ad un allestimento del mito di Edipo in forma di fiaba con animali, bulbi e rocce parlanti che accompagnano il giovane Edipo verso la scoperta della verità sulla propria origine.

Lo spettacolo porta a teatro famiglie con bambini e tanti adulti assidui frequentatori dell’Arena del Sole ed estimatori del lavoro straordinario che da decenni porta avanti la compagnia Societas Raffaello Sanzio, oggi solo Societas, fondata da Chiara Guidi, ideatrice con Vito Matera di questo allestimento, insieme a Romeo e Claudia Castellucci e Paolo Guidi.

Chiara Guidi in questi anni ha portato avanti una sua ricerca sul suono e sul senso del testo drammaturgico lavorando sia per il pubblico adulto che per bambini e bambine venendo rappresentata in diversi Paesi del mondo.

In questa fiaba di magia in primo piano c’è proprio il gioco con i suoni, con le voci dei personaggi, tutte amplificate, specialmente con le voci di personaggi che non si vedono in scena e che sono solo in voce, come la sfinge: un essere in parte donna, in parte aquila e leone che pone enigmi a chiunque arrivi nella sua terra pronta a sbranare quanti, accollatisi il rischio, falliscano la prova.

Altro personaggio presente di fatto solo in voce è il ragno, interpretato anch’esso dalla voce di un’attrice e presente in scena attraverso una deliziosa mostriciattola che scende appesa ad una ragnatela dall’alto per infilarsi nella conversazione degli altri personaggi, senza essere invitata, come una comare impicciona in un posto in cui non succede mai nulla.

La terra in cui il giovane Edipo arriva non viene identificata, sembra una terra dimenticata da tutti, dove regna l’ oscurità, né cresce alcunché, una terra spettrale inaridita, in attesa di qualche cosa che generi nuovi frutti.

Edipo scopre questa terra desolata dopo aver risolto l’enigma della sfinge e squarciato il velo che lo divideva dalla scoperta della verità sulla propria origine. Stanco s’addormenta, una specie di morte che feconda la terra rigenerandola. L’espediente narrativo ci permette di conoscere i personaggi che popolano questo strano mondo e tra questi spiccano, in particolar modo per i costumi di grande effetto, la talpa, il bulbo e il tubero e una roccia che sembra, nella forma, una madonna con bambino.

La terra in cui il giovane è arrivato, un tempo era un florido giardino, fatti terribili che vi sono accaduti lo hanno reso quello che oggi vediamo. Ma il bulbo ha ancora capacità di sognare che ci possa essere una rigenerazione attraverso il suo giacere con la propria madre. Questo gesto incestuoso in realtà, ci spiega il saggio Creonte, è il ritornare alla terra che è madre e sposa al contempo di tutti.

Ecco la speranza che il mito ci consegna: dagli errori ed orrori del passato si attiva una rigenerazione, c’è una promessa di rinascita. Se il giovane addormentato è quell’Edipo dell’antica storia venuto a conoscere la verità, c’è la speranza della rinascita, della generazione dalla propria madre e sposa. Il mito, in veste di fiaba, perde l’orrore e diventa metafora, quasi ecologica, della necessità della morte e del dolore, dell’errore e dell’errare per il mondo per la sua palingenesi.

Non c’è lo strazio né il dramma dell’Edipo mitologico, c’è invece la rappresentazione della necessità che si compia il suo destino e la sua ricerca della verità affinché la storia dell’umanità prosegua, si compia il ciclico passaggio della natura dalla macerazione della morte del seme nella terra d’inverno al suo spuntare a primavera.

La roccia dalle forme di una pietà, testimonia l’idea della maternità, la necessità del generare e del rigenerarsi della natura e del genere umano, sembra dirci che nessuna unione è nefasta se comunque consente che il mondo continui ad essere popolato.

L’atmosfera soffusa di semi oscurità è affascinante e ben studiata, le luci e costumi di Vito Matera davvero efficaci come anche l’intero impianto scenografico realizzato dal laboratorio Scenografia Pesaro- Trecento Lidia. Molto piacevole il lavoro sul suono e le voci di Eva Castellucci e Anna Laura Penna in particolare.

Lo spettacolo è godibile, una rielaborazione ad usum Delphini potremmo dire, in cui non si tace l’incesto, ma lo si valorizza positivamente come necessario rito di fertilità per la rigenerazione di quell’antico giardino. La ricerca della verità e della propria identità come tema centrale con tanti aiutanti magici di contorno che supportano e indirizzano la ricerca verso il suo positivo esito indipendentemente da quale sarà poi, negli anni, il futuro che attenderà ciascuno/a.