Mentre il ministro Poletti fa il Berlusconi e si immagina un milione di posti di lavoro e la stampa esalta notizie su nuove assunzioni, è l’Istat a spazzare il campo dalla propaganda: la disoccupazione generale sale al 12,7% e quella giovanile al 42,6%. Alleva: “L’occupazione non crescerà fino al +2% del pil. Servono misure drastiche”.

Ci sono voluti i dati reali dell’Istat a spazzare il campo dalla propaganda sulla ripresa dell’occupazione in Italia. Il governo ha infatti subito una brusca doccia fredda quando l’istituto di ricerca ha diffuso, stamane, i dati sulla disoccupazione a febbraio. Dopo un leggero miglioramento congiunturale del mese precedente, la disoccupazione a febbraio è tornata ad aumentare, attestandosi al 12,7% per quella generale e al 42,6% per quella giovanile (+1,3% sull’anno precedente).

Eppure, giusto ieri, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti aveva immaginato la creazione di un milione di posti di lavoro grazie agli incentivi alle imprese predisposti dal governo. Una dichiarazione che ha rimandato alla memoria collettiva la famosa frase di Silvio Berlusconi, che al leader di Forza Italia portò tanta fortuna all’epoca della sua discesa in campo (meno ai lavoratori, vista la promessa mancata).
In questi giorni, inoltre, le principali testate stanno esaltando le notizie sulle timide nuove assunzioni, in un coro che più che con l’informazione ha a che fare con la propaganda.

“A meno che non ci siano misure drastiche, come un ampio uso dei contratti di solidarietà e la riduzione delle ore di lavoro fino a 30 settimanali – commenta ai nostri microfoni il giuslavorista Piergiovanni Alleva, che è anche consigliere regionale per l’Altra Emilia Romagna – l’occupazione non tornerà a crescere prima che il pil raggiunga (obiettivo lontanissimo) il 2%“.
Il Jobs Act, secondo il professore, non produrrà alcun effetto positivo sull’occupazione e, anzi, si sta rivelando una misura di grande ingiustizia nei confronti dei contribuenti e delle imprese oneste.

Il perché di questa considerazione sta nei dati. “Si è parlato di 79mila nuove assunzioni a tempo indeterminato nel primo bimestre del 2015 – osserva Alleva – ma non si tratta di assunzioni aggiuntive, quanto sostitutive“.
Passando infatti da 224mila a 303mila, i neo-assunti con contratti a tempo indeterminato rappresentato (dati Istat) appena il 22% della forza lavoro nel nostro Paese. “Questo vuol dire che il 78%, cioè un milione e 100mila lavoratori vengono assunti con contratti precari – continua il giuslavorista – E per di più, le assunzioni a tempo indeterminato non sono nuova occupazione, ma trasformazione di contratti illegittimi“.

La profonda ingiustizia si annida nelle misure del governo Renzi, che portano ad un contributo di 24mila euro in un triennio per le aziende che assumono a tempo indeterminato. “Un imprenditore che per una mansione lavorativa ha assunto un lavoratore a tempo indeterminato – spiega Alleva – dai provvedimenti del governo non guadagna nulla, mentre l’imprenditore che per la stessa mansione ha preso illegittimamente un lavoratore con un contratto a progetto, oltre a non aver pagato tredicesima, quattordicesima, ferie, malattia e aver pagato meno contributi, ora ci guadagna”.
Il tutto anche ai danni dei contribuenti, dal momento che le risorse stanziate dal governo provengono dalla fiscalità generale.