Il discorso di Renzi e le sue non-dimissioni accentuano lo scontro in casa Pd. Nella direzione di lunedì prossimo saranno diversi, non solo della minoranza, a contestare la linea data dal segretario. Che oggi, stizzito, parla di chi guiderà le consultazioni: “Deciderà la direzione, io vado a sciare”. Sullo scenario post-elettorale, però, Sergio Lo Giudice esclude di “fare la stampella del M5S” e spera in un governo di scopo.

La batosta elettorale subita dal Partito Democratico non è servita a far fare al segretario Matteo Renzi un bagno di umiltà. Nel discorso di ieri pomeriggio, infatti, l’ex premier ha usato toni sprezzanti sia contro i colleghi di partito, sia contro i cittadini che non lo avrebbero capito.
Dalla lettura di quanto accaduto, quindi, discendono anche le scelte annunciate dal segretario sconfitto: dimissioni non subito, ma una volta imbastito l’iter parlamentare, con la nomina dei presidenti di Camera e Senato, impostate le consultazioni e orientata la fase pre-congressuale.

Parole e scelte che non sono piaciute a molti in casa dem, e non solo nella minoranza del partito. Per questo motivo si annuncia piuttosto calda la direzione fissata per lunedì prossimo. E le parole di questa mattina del segretario – “Deciderà la direzione (chi guiderà le consultazioni al colle ndr), io vado a sciare” – sembrano più un gesto stizzito che un reale farsi da parte.

Due ore prima che Renzi parlasse, Sergio Lo Giudice, ex senatore non ricandidato per far spazio a Pierferdinando Casini, aveva diramato un comunicato in cui chiedeva “un passo indietro del gruppo dirigente per ricostruire il centrosinistra”. Lo Giudice parlava apertamente di “fallimento del modello di gestione del partito e della proposta politica”, ed indicava nel “culto della  rottamazione del passato, rapporto plebiscitario fra il leader e la massa, negazione della funzione dei corpi sociali  intermedi, omogeneizzazione del partito attorno alle posizioni del leader” gli ingredienti della disfatta.

Oggi ai nostri microfoni Lo Giudice commenta il discorso di Renzi, che evidentemente non ha accolto il suo appello. E ricorda che Veltroni si dimise dopo una sconfitta molto meno bruciante.
“C’è bisogno di aprire le porte e le finestre e cambiare aria – osserva l’ex senatore – Occorre che si riapra la possibilità di un dibattito che sia il più coinvolgente possibile. C’è bisogno di capire in maniera franca e libera cosa vogliamo fare e dove vogliamo andare”.
Lo Giudice, però, non attribuisce tutta la colpa della sconfitta a Matteo Renzi, ma inquadra i risultati nella crisi più generale che colpisce tutta la socialdemocrazia europea.

Su una cosa Lo Giudice sembra essere d’accordo con Renzi: non può esistere una maggioranza formata da M5S e Pd: “Non faremo la stampella ad un governo Di Maio”.
Il rischio, però, è quello che si prospetti un asse Lega-M5S, un’ipotesi che spaventa in molti.
Per scongiurarla, qualora il presidente della Repubblica Sergio Mattarella soa d’accordo, l’ipotesi individuata dai dem è quella di un governo di scopo, per poi tornare alle elezioni fra un anno.
Difficile però che in un anno il centrosinistra ritrovi un’identità e acquisisca la forza per offrire una ricetta nuova, capace di accordarsi con il sentire della gente. Per questo Lo Giudice afferma che bisogna fare in fretta e che Renzi faccia un passo indietro.

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