Mettendo in fila i vari tasselli, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) del governo Draghi si configura come una grande operazione gattopardesca. Gli annunci roboanti, le promesse di cambiamento, i nuovi titoli, primo fra tutti quello di “transizione ecologica”, si configurano come un propagandistico maquillage per mantenere non solo lo stesso approccio socio-economico, quello che ha drammaticamente fatto emergere molti problemi durante la pandemia, ma anche gli stessi interessi.

È quanto è facile comprendere analizzando da un lato la nomina di cinque consulenti ultra-liberisti a costituire il Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica, cioè coloro che dovranno gestire l’applicazione del Pnrr insieme agli enti locali, e dall’altro le informazioni diffuse oggi dal rapporto “Ripresa e connivenza” di ReCommon sulle pressioni delle lobby fossili a livello europeo e italiano.

Lobby fossili, cento incontri in un anno col governo italiano

Nel ricostruire le varie versioni del Pnrr (cinque prima di quella definitiva) ReCommon ha riscontrato un accoglimento sempre maggiore delle proposte dell’industria fossile. Un risultato che è stato possibile con un’azione di lobbing spaventosa, al punto che il rapporto dell’associazione ricostruisce come dal luglio 2020 ad oggi le multinazionali del fossile, Eni e Snam in primis, abbiano tenuto una media di due riunioni a settimana presso i Ministeri chiave, per un totale di almeno cento incontri.

«Il Mise – osserva ai nostri microfoni Alessandro Runci di ReCommon – è stato letteralmente preso d’assalto dalle compagnie fossili per far sì che il piano venisse modificato a loro immagine e somiglianza». Oltre allo Sviluppo Economico, i lobbysti delle multinazionali hanno piantato le tende al Ministero della Transizione ecologica che, nonostante il nome, da quando è stato istituito ha avuto tre incontri a settimana con le compagnie fossili.
«Queste società godono di un accesso privilegiato allo Stato – sottolinea Runci – Quello che ci sorprende, ma fino a un certo punto, è come Eni e Snam siano riuscite ad influenzare la stesura del piano. Un problema non solo dal punto di vista climatico ed ambientale, ma anche democratico, dal momento che cittadini e cittadine sono stati completamente esclusi dai processi decisionali».

Nel concreto, le pressioni delle multinazionali si sono concentrate nel far accettare il metano come fonte energetica, in particolare nella produzione di idrogeno blu, e nell’avallare i progetti di stoccaggio dell’anidride carbonica, come quello che Eni ha in mente per Ravenna.
«Dietro il termine “transizione ecologica” si nascondono tante altre false soluzioni che vengono proposte dall’industria – sottolinea l’esponente di ReCommon – in particolare l’idrogeno, che è la nuova chimera che l’industria fossile propone».
Per Runci, attorno al concetto di “transizione ecologica” portato avanti dallo stesso ministro Roberto Cingolani si nasconde un far credere che ci siano dei cambiamenti, quando in realtà si tratta di cambiamenti cosmetici che mantengono in vita il modello attuale.

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ALESSANDRO RUNCI:

Il controllo dei liberisti nell’applicazione del Pnrr

Nei giorni scorsi un gruppo di 150 tra economisti ed accademici europei hanno scritto una lettera al premier italiano Mario Draghi per criticare la nomina di cinque consulenti (Carlo Cambini, Francesco Filippucci, Marco Percoco, Riccardo Puglisi e Carlo Stagnaro) al nucleo tecnico sul coordinamento della politica economica presso il Dipe. In particolare, a colpire è l’orientamento ideologico dei cinque, considerati ultra liberisti.
«Non si tratta di nomine tecniche, ma di nomine nei fatti politiche», osserva ai nostri microfoni Alessandro Somma, docente a La Sapienza ed uno dei firmatari della lettera.

«Vi è una preoccupante presenza di studiosi portatori di una visione economica estremista caratterizzata dalla fiducia incondizionata nella capacità dei mercati di risolvere autonomamente qualsiasi problema economico e sociale – si legge nel testo della missiva – Appare paradossale che ci si prepari a gestire il più esteso piano di investimenti pubblici degli ultimi decenni con una squadra di consulenti che in alcuni casi non paiono possedere i previsti requisiti di comprovata specializzazione e professionalità, con riferimento ai temi su cui saranno chiamati a lavorare. Inoltre, alcuni fra i nominati sono noti per il sostegno aprioristico ad una teoria che afferma l’inutilità, se non la dannosità, dell’intervento pubblico in economia».

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ALESSANDRO SOMMA: