Mentre i riflettori continuano ad essere concentrati sulla guerra in Ucraina, scaturita dall’invasione russa di più di due mesi fa, in Medio Oriente continuano altre invasioni militari che però l’Occidente sembra tollerare. Da un lato la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan ha di fatto occupato il Kurdistan iracheno, sconfinando quindi dal proprio territorio. Dall’altro il governo israeliano, Naftali Bennett, continua l’occupazione di territori palestinesi e le tensioni registrate nelle ultime settimane fanno temere una nuova escalation a Gaza.

Le invasioni tollerate: la Turchia in Iraq e Siria

Con l’ormai consolidato pretesto di dare la caccia al Pkk, l’esercito turco ha occupato il Kurdistan iracheno. Dalle cronache che arrivano dal territorio, sembra che l’intenzione di Erdoğan sia quella di restare. I militari turchi, infatti, hanno abbattuto alberi, spianato terreni e sfollato seicento persone dai villaggi della zona, mentre i bombardamenti aerei e da terra non si sono fermati e colpiscono le aree prossime alle comunità abitate, causando incendi diffusi.

Secondo quanto riportato da Internazionale, che ha tradotto un articolo del giornalista Zuhair al Jezairy, Erdoğan ha affermato che il governo iracheno avrebbe cooperato all’operazione. «Il governo di Baghdad non solo ha smentito – si legge nell’articolo – ma ha anche condannato fermamente l’operazione di Ankara e ha convocato l’ambasciatore turco per manifestare il suo dissenso attraverso i canali istituzionali».
L’ex parlamentare iracheno Josef Slaywa, in un tweet, ha inoltre affermato che «Erdoğan sta cercando di tornare alle occupazioni tipiche del vecchio impero ottomano. L’esercito turco usa il pretesto di combattere il terrorismo per mascherare la sue vere mire, cioè l’ambizione di riprendere il controllo sulla provincia di Mosul, persa in maniera definitiva da Ankara nel 1926».

«L’operazione militare turca è stata chiamata “Blocco dell’artiglio” ed è cominciata il 18 aprile scorso – spiega ai nostri microfoni il giornalista e docente universitario Giuseppe Acconcia – e ha preso di mira campi, tunnel e depositi di armi del Pkk. Ma non sono state colpite solo le basi del Pkk, ma anche le unità di protezione Ypg e Ypj nel nord-est della Siria, in Rojava».
In sostanza, sintetizza Acconcia, «ancora una volta Erdoğan approfitta di questa situazione di crisi internazionale e del credito che ha acquistato autorappresentandosi come mediatore nel conflitto in Ucraina per fare quello che vuole».

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L’invasione divenuta occupazione: Israele in Palestina

Ormai non è più appropriato parlare di invasione per ciò che riguarda Israele in Palestina. Tel Aviv da anni e anni dà vita ad una vera e propria occupazione con un regime di apartheid. Ciclicamente, però, il governo israeliano conduce operazioni militari, in particolare contro la Striscia di Gaza, con o senza il pretesto dei tentativi di liberazione dall’oppressione da parte palestinese.
Proprio mentre infuriava la guerra in Ucraina, e Israele insieme alla Turchia si proponeva come mediatore del conflitto, l’aviazione israeliana bombardava Gaza in risposta al lancio di un razzo palestinese. Alcuni attacchi palestinesi avvenuti nella congiuntura della Pasqua ebraica col Ramadan rischiano di provocare una nuova escalation.

Nel ricostruire le nuove tensioni, però, molti degli articoli della stampa italiana si sono dimenticati di citare le autentiche provocazioni messe in atto dai coloni e dalle forze di sicurezza israeliane. Tra queste i cortei nella Spianata delle Moschee, luogo sacro dell’Islam, durante il ramadan, dove i coloni ebrei hanno pregato e volevano anche effettuare un rito religioso con il sacrificio di pecore.
«Ci sono stati oltre 500 arresti di palestinesi – racconta ai nostri microfoni Mario della Campagna Bds Italia – È chiaro che gli attacchi ai civili israeliani sono da condannare, ma sono anche frutto di un’esasperazione da parte dei palestinesi che non vedono prospettive di futuro».

La Campagna Bds, assieme ad altre importanti organizzazioni della società civile ed europea, partecipa alla petizione “Stop trade with settlements“. L’obiettivo è raccogliere un milione di firme in tutta l’Unione Europea per indurre la Commissione a discutere il tema dei rapporti commerciali con i territori occupati. In particolare, gli estensori della campagna chiedono che l’Europa rispetti le proprie direttive, che già vietano i rapporti commerciali con i territori occupati illegalmente. «Il tema non riguarda solo la Palestina – sottolinea Mario – ma tutti i territori colonizzati, come avviene coi Saharawi e il Marocco».

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