Momenti di tensione nel Mediterraneo, ieri, quando il peschereccio “Aliseo” della flotta di Mazara del Vallo, impegnato in una battuta di pesca al largo delle coste di Bengasi, è stato mitragliato da una motovedetta militare libica. I colpi d’arma da fuoco hanno ferito il comandante, Giuseppe Giacalone a un braccio. La nave Libeccio della Marina Militare è intervenuta in soccorso.
L’episodio è stato condannato d’ufficio da tutti i partiti, ma ciò che pochi hanno detto è che sia la motovedetta che le armi in mano ai libici potrebbero essere italiane.

Armi italiane in mano alla Libia, il rapporto sull’export

Era l’aprile del 2017 quando l’Italia consegnò alla Libia alcune motovedette. Il regalo era frutto di un memorandum siglato dal nostro Paese e fortemente voluto dall’allora ministro degli Interni Marco Minniti allo scopo di fermare i flussi migratori verso l’Europa. Non potendo effettuare respingimenti in mare perché puniti dal diritto internazionale, l’Italia fece accordi con una delle fazioni della guerra civile libica, quella capitanata da Al Serraj.
Già allora ci fu chi lanciò l’allarme sulle conseguenze dell’accordo, dal momento che la Libia era (ed è) un Paese instabile e che le autorità, in realtà, erano sotto il controllo delle milizie pronte a tutto. Gli allarmi non vennero ascoltati e, quando Matteo Salvini era ministro, vennero inviate altre 10 motovedette.

Enrico Aimi, senatore e capogruppo in Commissione Affari Esteri per Forza Italia, ieri ha osservato: «La beffa è che si tratta molto probabilmente di una imbarcazione tra quelle concesse dal governo italiano per contrastare l’immigrazione clandestina».
Ma non è tutto. Anche le armi e i proiettili con cui i libici hanno sparato potrebbero essere Made in Italy.
In un articolo pubblicato su Osservatorio Diritti, Giorgio Beretta della Rete Italiana Pace e Disarmo afferma che «Nell’area di maggior tensione del mondo (guerra in Siria e Yemen, conflitti in Libia e Iraq), nella quale persistono gravissime violazioni dei diritti umani (Egitto e monarchie del Golfo) e dei diritti dei popoli (come palestinesi, saharawi, curdi) è stata diretta anche nel 2020, per il quinto anno consecutivo, la gran parte degli armamenti esportati dal nostro Paese».

L’affermazione è ricavata dalla “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” inviata alle Camere lo scorso 27 aprile, ma non ancora pubblicata nel sito del Senato.
«Il trend di esportazioni militari record verso i paesi nordafricani e mediorientali, i cosiddetti “Paesi Mena”, è stato inaugurato dal governo Renzi nel 2016 (8,6 miliardi di euro di operazioni autorizzate verso questa area del mondo, pari al 58,8%) – si legge ancora nell’articolo – ed è proseguito nel 2017 durante il governo Gentiloni (4,6 miliardi, pari al 48,5%) e nel 2018 con al governo prima Gentiloni e poi Conte (2,3 miliardi, pari al 48,3%), nel 2019 con i governi Conte I e II (1,3 miliardi, pari al 32,6%) e, appunto, nel 2020, col governo Conte II (1,5 miliardi, pari al 38,7%).

«L’anno scorso sono state esportate in Libia forniture militari per 5,8 milioni di euro – osserva Beretta ai nostri microfoni – Non possiamo sapere se le armi utilizzate ieri siano italiane, ma è possibile, perché in passato sono state inviate forniture militari, oltre ad aver fornito addestramento».
Nel report emerge che il primo Paese ad aver acquistato armamenti italiani è l’Egitto con le due fregate Fremm che sarebbero state destinate alla Marina italiana. Al secondo posto troviamo il Qatar, con oltre 200 milioni di euro per l’acquisto di un mini-sottomarino, che può essere utilizzato anche per l’attacco a navi e petroliere.

«La metà delle esportazioni italiane, più precisamente il 49,8%, pari ad oltre 18,4 miliardi – sottolinea Beretta – è rivolto a Paesi di Nordafrica e Medioriente dove ci sono le dittature, per usare le parole di Draghi, e dove è fortissima la repressione, soprattutto contro gli oppositori politici».
Tutto ciò nonostante la legge 185 del 1990 stabilisca che le esportazioni di armamenti «devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» e che le operazioni devono essere «regolamentate dallo Stato secondo i princìpi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

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