Anche se il sindaco Matteo Lepore ha scelto un commento benaltrista («Nell’agenda del sindaco questo argomento è al centesimo posto rispetto all’alluvione e a tutti gli altri problemi che hanno i cittadini») la sentenza del Tar sull’assegnazione di Vicolo Bolognetti a Làbas è la cronaca di un grattacapo annunciato, almeno da chi per gli spazi pubblici denunciava l’inadeguatezza e la pericolosità dello strumento del bando.

Non è infatti la prima volta che a Bologna si manifesta una situazione del genere, anche se in precedenza non era stato scomodato il tribunale. Una situazione simile, infatti, si presentò per il cassero di Porta Santo Stefano dove aveva sede Atlantide.
Per liberarsi del centro sociale, il Comune e il Quartiere misero a bando quegli angusti spazi e le realtà transfemministe e punk che da anni animavano quella struttura persero l’assegnazione in favore di un’altra cordata di associazioni, che successivamente rinunciò proprio perché la questione strumentalmente posta come burocratica in realtà era tutta politica. E politicamente la vicenda costò la testa dell’assessore alla Cultura Alberto Ronchi.

La sentenza del Tar sull’assegnazione degli spazi pubblici di Vicolo Bolognetti a Làbas

A suggerire una lettura politica anche della vicenda di Làbas è la stessa sentenza del tribunale amministrativo. Leggendola, ciò che dicono i giudici è che l’Amministrazione ha utilizzato in modo troppo discrezionale l’assegnazione dei punteggi per i progetti che sono stati presentati e che la classifica finale tra i concorrenti è stata in questo modo falsata.
A presentare il ricorso era stata la cordata di associazioni che avevano perso la gara e che, secondo le testimonianze di alcune di loro, avevano anche ricevuto la richiesta di rinunciare a presentare la proposta perché per il centro sociale sgomberato da via Orfeo non ci sarebbero stati altri spazi adeguati.
La stizza delle associazioni è nata anche in seguito ad un percorso con le istituzioni, a innumerevoli incontri e confronti che avevano delineato un futuro di attività proprio negli spazi che si sono visti “soffiare” dal bando.

Làbas, per contro, ora fa sapere di non volersene andare nonostante la sentenza. E se dal piano della forma si passa al piano della sostanza, tutte le attività e i servizi – tra cui alcuni sanitari messi a disposizione delle persone più deboli (e recentemente attaccati dalla destra cittadina) – costruiti all’interno di Vicolo Bolognetti rischierebbero di essere depauperati, così come le relazioni costruite in questi anni con i residenti del quartiere.
Quello che si delinea, insomma, è un vero e proprio pasticcio amministrativo che riguarda un tema tanto caldo quanto sistematicamente ignorato dal Comune: i sempre più ristretti spazi sociali pubblici in città.

LA PRIMA REAZIONE DI LÀBAS:

Il boomerang del bando: a Bologna c’è chi aveva evidenziato l’inadeguatezza dello strumento

A dire il vero a Bologna c’è chi aveva sollevato il tema e che aveva anche messo in guardia dai problemi generati dalla logica dei bandi. È D(i)ritti alla Città, una rete di realtà che sulla questione si era mossa in diversi modi. Da un lato, infatti, aveva censito le decine e decine di spazi pubblici abbandonati e lasciati all’incuria, dall’altro aveva utilizzato uno strumento partecipativo previsto dallo stesso Statuto del Comune di Bologna: la delibera di iniziativa popolare.
D(i)ritti alla Città aveva elaborato collettivamente una proposta, aveva raccolto le firme necessarie e l’aveva presentata al Comune. Quest’ultimo, però, l’ha malamente rigettata, impedendo il confronto e la discussione.

Perché per alcuni lo strumento del bando è inadeguato? La risposta sta proprio nella situazione che si è prodotta con Làbas. Il bando è uno strumento che mette in competizione le associazioni, le fa scontrare e opporre anche se le loro finalità sono simili e se le rispettive attività sono nobili e importanti.
A questa osservazione l’Amministrazione ha spesso risposto che oggi la legge non consente modalità di assegnazione degli spazi che non passino dalla rigida formalità burocratica. La sentenza del Tar dice che tutta questa formalità non c’è se tra le pieghe dei punteggi dei bandi l’ente pubblico può esercitare una certa discrezionalità, al punto da determinare un vincitore e uno sconfitto.

«Il ricorso continuo ai bandi – commenta ai nostri microfoni Mauro Boarelli di D(i)ritti alla Città – si giustifica solo e quando se il bene che viene messo sul mercato è scarso. Ma nella nostra città gli spazi pubblici sono molto estesi, basti pensare a quelli dismessi, tra cui le aree militari. Se questi beni fossero messi a disposizione di tutte le associazioni e i gruppi informali in città, ci sarebbe spazio per tutte e per tutti e non ci sarebbe bisogno di ricorrere ai bandi e di mettere in competizione diverse realtà».
Era questa una parte della visione alternativa della delibera di iniziativa popolare presentata.

D(i)ritti alla Città, però, si è fatta anche un’idea del perché il Comune abbia deciso diversamente e non è per questioni burocratiche, ma per una precisa scelta politica. «Il Comune si sta facendo portatore di una politica di privatizzazione dei beni pubblici – osserva Boarelli – Se ad esempio andiamo a guardare i grandi beni pubblici dismessi, in particolare le aree militari, su ciascuno di questi ci sono progetti di speculazione edilizia, che portano alla perdita del patrimonio storico e delle aree verdi. La città viene espropriata di questi beni e viene meno la loro funzione pubblica».

Nel merito dello strumento dei bandi, infine, Boarelli sottolinea «che serve a selezionare in modo anche politico, nel senso che ci sarà qualcuno, in questo caso l’Amministrazione comunale, che decide chi è meritevole di avere l’assegnazione di un bene e chi no. Questa procedura, che si è fatta via via meno trasparente, è sempre più legata a logiche politiche, per cui in questa città c’è sempre meno spazio per forme indipendenti che non si identificano politicamente con l’amministrazione in carica e questo ha una ricaduta negativa sul pluralismo culturale e politico, che in questa città è venuto a mancare negli ultimi anni».

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