Lo Stabile di Torino- Teatro Nazionale, ritorna nella stagione dell’Arena del Sole con lo spettacolo La vita che ti diedi che sta raccogliendo consensi in ogni piazza toccata dalla tournée. Sul palco, dopo la divertente interpretazione della cameriera in Fragola e panna di Natalia Ginzburg portato in scena qualche mese fa per la regia di Nanni Moretti, ritroviamo la bravissima Daria Deflorian nei panni di Donn’Anna Luna, colei che non accetta la morte del figlio e lo racconta ancora vivo attendendone il ritorno come se fosse ripartito per un viaggio.
Donn’Anna non è pazza, è uno di quei personaggi pirandelliani che sembrano pazzi agli occhi di chi mantiene rigidamente una corda civile e vive entro rigidi schemi che prevedono ade esempio rituali, veglie funebri, preghiera e rassegnazione per la morte di un figlio. Donn’Anna esce dagli schemi facendo vacillare le certezze di chi guarda e ascolta i suoi ragionamenti. la donna ha atteso per sette anni che il figlio tornasse dai suoi studi e dalla vita che si era costruito altrove, quando lo rivede non lo riconosce per quello che era prima, in un certo senso quel figlio che ricordava era già morto ai suoi occhi al momento del suo reale ritorno alla sua casa, mentre quel corpo morto che giace nella stanza appartenuta al figlio amato, le sembra solo un corpo estraneo per il quale non riesce a piangere e dal quale non ha bisogno di staccarsi con rituali perchè non è per lei suo figlio.
Così il figlio può continuare a vivere nella vita che lei vuole dagli, come la vita che gli diede al momento del parto, ogni giorno, parlandogli, immaginandolo vivo, può ancora farlo essere vivo come quando lo pensava lontano, nella sua vita da studente o di lavoratore lontano. Pensandolo vivo, così, può continuare ad amarlo. Non serve la vita reale del figlio perché sia vivo per lei, le basta la memoria di un sogno, è il sogno ad essere vivo.
Finché Donn’Anna è viva, può continuare a farlo vivere e nella sua mente non può essere altrimenti, perchè non abbia più vita il figlio dovrebbe morire anche lei che la vita glie l’ha data alla nascita, mentre lei è viva. Per questo motivo, Anna spiega a Don Giorgio e a Donna fiorina, venute a consolarla e ad aiutarla nei rituali per loro d’obbligo, che il corpo morto deve velocemente uscire da quella casa perchè lei possa continuare a far vivere la stanza del figlio con la vita che lei gli dà.
Straordinaria Daria Deflorian che riesce a strappare risate al pubblico nel dramma più nero per il rigore dei suoi ragionamenti che tuttavia appaiono strampalati ed appunto comici. E di comici, nel senso di attori parla anche Pirandello nelle sue indicazioni preliminari per registi e interpreti che si accingano a mettere in scena “La vita che ti diedi”, ci avverte nelle note di presentazione dello spettacolo il regista Stéphane Braunchweig citando lo scrittore Gian Maria Griffi il quale afferma che pur non essendoci nulla di comico un questa tragedia, Pirandello usi per gli attori la parola comici. “Vero è che- come scrive Beckett in Finale di partita– non c’è nulla di più comico dell’infelicità, ma la storia raccontata in La vita che di diedi va oltre l’infelicità, affronta il dolore più grande che un genitore possa provare, si insinua nella disperazione, rasenta una delle tante forme di follia”.
Donn’Anna trasforma tutto in una sorta di recita a beneficio suo e di chi arriva in quella casa, in cui non si deve dire che il figlio è morto, ma che tornerà. nessuno veste il lutto, la stanza del figlio è pronta al suo ritorno, fresca, piena di fiori. Vittima della recita è l’amante del figlio che arriva da lontano dopo aver ricevuto una lettera, in parte non scritta realmente dal suo innamorato, ma dalla madre, per continuare a dare vita al figlio. La giovane, interpretata dalla bravissima Cecilia Bertozzi, è in cinta e vorrebbe dare la notizia all’amato. Credendo che sia solo partito resta a dormire nella sua stanza, sperando di poterlo rivedere. Lucia, ha confessato anche alla sua nuova madre, Donn’Anna, di non aver mai amato il suo vero marito, che l’ha presa con la forza in quanto legittimo consorte e l’ha costretta ad essere madre di due figli. Ella considera i due figli frutto di violenza e a lei estranei. Solo l’amore del giovane amato le ha fatto pensare ai suoi figli come suoi propri e le ha fatto desiderare questo nuovo figlio per vivere finalmente la maternità con gioia. Le speranze che l’aiutano a prendere sonno saranno tradite al risveglio.
A casa di Donn’Anna arriva anche la madre della giovane, impersonata sempre da Federica Fracassi, prima nei panni di Donna Fiorina. Nella sua ottima interpretazione della severa Francesca Noretti, giunta da quel lontano indecifrabile da cui è venuto anche il figlio come anche la sua giovane donna, Fracassi riesce a rappresentare la grettezza della ragione, la negazione della corda pazza che non è forse completamente un atteggiamento utile alla mitigazione del dolore, ad affrontare la vita, ma è realismo e insieme negazione della speranza, incapacità di considerare altre possibilità di esistenza e di verità.
Lucia scopre che Donn’Anna le ha mentito, la pensa sicuramente pazza, ma poi pensa di rimanere lì in quella casa con lei, assumendola come madre con cui far crescere il suo bambino continuando a far vivere il suo innamorato nel suo cuore attraverso il figlio che nascerà. Ancora una volta è la vera madre Francesca a cercare di riportarla alla comune ragione, al rispetto delle convenienze tornando a casa, dai suoi figli per vivere nel decoro. Donn’Anna ha un crollo quando scopre da Lucia che il figlio era tornato consapevole di andare a morire nella sua casa natale, capisce che quello che era tornato, non lo aveva riconosciuto perché la vita lo aveva cambiato, la vita lo aveva ridotto a qualcosa di miserevole. la consapevolezza della miseria toccata al figlio lo fa apparire realmente morto ai suoi occhi. Il cambio di situazione emotiva è evidenziato scenograficamente mutando la stanza del figlio, prima apparsa piena di luce che filtrava dalle finestre, ingombra di fiori e oggetti d’uso, in una stanza nera, con solo un letto dalla testiera di legno, una coperta nera. La madre disfa il letto come a decretarne la definitiva morte nella certezza che non tornerà mai a dormirci e si accoccola sul materasso nudo, anche se proprio ora che è morto per lei, il figlio la va a visitare abbracciandola, perchè anche se nel mondo facciamo prevalere la corda civile e la consapevolezza, la vita è più forte e prosegue realmente nel pensiero che dà la vita, nel sogno che è vita.
Regia essenziale, pulita, efficace. Ad apertura di sipario la scenografia è costituita solo da due sedie sul lato destro e un divanetto sul lato sinistro. Più tardi dietro un fondale apparirà la stanza del figlio, piena di fiori e sul finale di nuovo la stanza lugubre, carica di morte.
Tutto il resto è affidato alle brave attrici (gli unici attori sono Fulvio Pepe, nei panni di Don Giorgio e del giardiniere e Fabrizio Costella che rappresenta il figlio morto Flavio, una presenza senza alcuna battuta), tra cui va citata anche Enrica Origo che rappresenta in maniera egregia la vecchia governante Elisabetta, affranta per la follia della padrona nonché per la perdita del giovane.
Un cast davvero affiatato, una resa attoriale di prim’ordine da parte di tutte. L’uditorio ha confermato il successo già decretato dalla pièce in altri teatri tributando applausi convinti. Il successo di questa messa in scena di Pirandello certifica anche che la sperimentalità del teatro non sta solo nel mettere in scena testi contemporanei con modalità innovative, ma anche nel proporre classici della letteratura drammatica con stile, semplicità, con un modo asciutto e contemporaneo di essere attrici e attori, nel saper vedere quanto di straordinariamente sperimentale promana ancora dai testi pirandelliani che arrivano ancora a sorprenderci, a strapparci una risata per l’argomentare lucido e insieme folle. Si può fare dunque buon teatro per il nostro presente anche con testi appartenenti ormai al canone drammatico, si può riempire un teatro anche con Pirandello, mentre sembrava che dovesse essere espunto dai cartelloni perché causa della disaffezione del pubblico. Felici pertanto di ritrovare un Pirandello in una stagione teatrale nel 2024 e di sentirlo così vivo e parlante anche a noi qui oggi.
Consigliatissimo seguendo la tourée nelle prossime piazze!