Quattro agenti della polizia locale di Sassuolo sono stati sospesi dal servizio perché indagati per il reato di tortura ai danni di un uomo di nazionalità marocchina. Si tratta di due agenti e due assistenti, questi ultimi accusati anche di falsità ideologica in atto pubblico per aver redatto una relazione di servizio falsa.
Il provvedimento – disposto dal Gip del tribunale di Modena e richiesto dalla Procura – parte da una denuncia del direttore generale dell’Ospedale di Sassuolo per un fatto dell’ottobre del 2021. I quattro, secondo l’esposto, avrebbero aggredito l’uomo mentre si trovava al pronto soccorso per una crisi ipoglicemica.

Sassuolo, quattro agenti di polizia locale accusati di tortura

L’uomo era stato trasportato in ambulanza in ospedale dalla Croce Rossa di Sassuolo dopo che era stato trovato in strada in stato confusionale. Secondo quanto denunciato nell’esposto e ricostruito dalla Procura, mentre era in corso la raccolta dei dati del paziente e i suoi parametri vitali, i quattro sono arrivati in ospedale senza che qualcuno li avesse chiamati ed hanno iniziato ad inveirgli contro, immobilizzandolo con forza alla barella sulla quale si trovava e picchiandolo sul petto e sulla testa. Uno di loro – spiega la Procura – è salito con i piedi sul bacino del paziente, in posizione accovacciata, chiedendogli con insistenza se avesse assunto sostanze stupefacenti.

I comportamenti dei quattro agenti sono stati descritti dettagliatamente dal personale sanitario. Dalle dichiarazioni di medici e infermieri è emersa infatti la convinzione dei vigili che l’uomo fosse legato al mondo dello spaccio. La vittima, al contrario, lavora come operaio in Italia da anni, con regolare permesso di soggiorno, e non è mai stato denunciato o anche solo segnalato per reati di droga.
La vittima, ad oggi, non ha sporto denuncia perché non ricorda quanto accaduto, visto che era in stato di incoscienza per via di una grave crisi ipoglicemica.
Prima della emissione dell’ordinanza cautelare gli indagati sono stati interrogati dal Gip di Modena. La durata della sospensione dal servizio è differente per ciascuno dei quattro agenti.

Sulla vicenda la Procura di Modena fa sapere, tramite una nota, che il Gip ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica delle condotte contestate dagli stessi magistrati, proprio in riferimento al reato di tortura. «È stato, infatti, ritenuto che la pluralità delle condotte violente attuate dagli indagati, per circa un’ora, avessero cagionato alla persona offesa, che peraltro versava in condizioni di minorata difesa a causa della grave crisi ipoglicemica, acute sofferenze fisiche (elemento costitutivo del reato di tortura differente da quello di lesioni volontarie aggravate), determinando un trattamento inumano e degradante per la dignità della sua persona», spiega la Procura di Modena.

L’ossessione securitaria e l’appoggio della popolazione alla cultura violenta

Il giornalista Checchino Antonini, esponente dell’Associazione Contro gli Abusi in Divisa (Acad), ricostruisce ai nostri microfoni quella che definisce una «ossessione securitaria» che comincia almeno dal 2014 ed è fatta di inflazione di corpi di polizia e dotazioni agli agenti sempre più pericolose, come il taser. E ciò, inevitabilmente, si è tradotto nell’aumento dei casi di abusi e torture che coinvolgono anche la polizia locale.
Oltre alla vicenda più celebre, quella che ha portato alla morte di Federico Aldrovandi, l’Emilia-Romagna è un territorio in cui gli abusi in divisa non mancanto, come testimoniano le vicende di Emmanuel Bonsu a Parma, l’aggressione da parte di sette vigili ad un ambulante a Rimini o, sempre a Sassuolo, il pestaggio di un marocchino ubriaco da parte di due carabinieri.

«In quella circostanza – ricorda Antonini – la Gazzetta di Reggio raccolse migliaia di firme in solidarietà ai carabinieri, che la fecero franca con una motivazione spaventosa, perché i giudici reputarono che il video che mostrava le violenze inequivocabili non rivelava abbastanza il contesto in cui si erano svolti i fatti, mentre la vittima del pestaggio è finita in carcere per resistenza e lesioni».
Ciò che è più inquietante in quella vicenda, secondo il giornalista, è l’alone di complicità e il senso comune razzistoide di un pezzo consistente di cittadinanza, «che è amico ed empatizza per le polizie violente».

L’ultimo episodio, quello che riguarda sempre Sassuolo e coinvolge i quattro agenti di polizia locale, potrebbe segnare una svolta in questo clima? Del resto, la denuncia è partita dall’ospedale e l’Italia si è dotata di una legge contro la tortura.
«È quello che ci auguriamo – risponde Antonini – Purtroppo ogni caso ha una storia a sé, ma gli elementi farebbero sperare in un esito positivo. Il problema, però, è che c’è un senso comune che è molto deteriorato e le condanne che ci sono state in passato nei confronti degli abusi in divisa non hanno sedimentato una cultura diffusa».

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