A bordo della Humanity 1, la nave della ong Sos Humanity recentemente coinvolta nella prova di forza ingaggiata dal ministro degli Interni Matteo Piantedosi e dal governo italiano, c’era anche Max Cavallari. Cavallari è un fotografo di origini cremonesi, che da diversi anni vive e lavora a Bologna e che ad ottobre è salpato nella missione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centale.
Sono tre i salvataggi che la nave ha effettuato, salvando la vita a 179 persone che però poi si sono dovute misurare con le politiche del governo Meloni in quella che è stata una vera e propria odissea.

I naufraghi sulla nave dell’ong, la richiesta di un porto sicuro e lo “sbarco selettivo”

«Abbiamo effettuato tre salvataggi tra il 22 e il 24 ottobre – racconta Cavallari ai nostri microfoni – Da subito abbiamo chiesto l’assegnazione di un porto sicuro, che sarebbe stato quello di Malta, ma non abbiamo avuto risposta».
Per la Humanity 1 ci sono volute 18 richieste di porto sicuro e un’attenzione dei media, dovuta anche al fatto che c’erano altre tre navi umanitarie nelle stesse condizioni, per sbloccare la situazione e ottenere risposta. Ma le persone salvate, che erano sotto shock per il viaggio compiuto, hanno dovuto attendere una decina di giorni prima di poter arrivare a Catania.

Il fotografo racconta che tra i naufraghi c’erano persone che riportavano anche ferite fisiche, come i segni delle torture subite in Libia. Ferite che il personale medico della Humanity 1 ha provveduto a curare e questo ha rappresentato un discrimine una volta arrivati in porto, a causa dello “sbarco selettivo” che si è inventato il governo italiano.
«Nel porto c’è stata una vera e propria selezione all’ingresso – ricostruisce Cavallari – in cui 35 persone sono state ritenute “troppo sane” per poter sbarcare».

Le disposizioni del Viminale, inoltre, avrebbero previsto che, una volta fatte sbarcare le persone ritenute fragili, la nave dovesse ripartire con il “carico residuale“. È a quel punto che il capitano della Humanity 1 si è rifiutato, sia perché avrebbe compiuto un respingimento vietato dalla Convenzione di Ginevra, sia per garantire la sicurezza dell’equipaggio e dei naufraghi rimasti a bordo.
«Il disimbarco è durato tutta la notte e tutta la mattina – racconta Cavallari – Nessuno, nemmeno l’equipaggio, sapeva se sarebbero scesi tutti o chi sarebbe sceso. Quando si è capito che una trentina di persone non erano state ritenute sufficientemente fragili, lì c’è stato un momento che rimarrà impresso per un bel po’ di tempo, perché è come se il tempo si fosse fermato e dire che c’è stato sconforto significa sminuire quello che tutti abbiamo provato».

ASCOLTA LA TESTIMONIANZA DI MAX CAVALLARI: