La produzione editoriale dello storico Francesco Filippi negli ultimi anni ci ha abituato al debunking, la demistificazione dei luoghi comuni della storia al fine di sfatare bugie, omissioni e revisionismi. Titoli come “Mussolini ha fatto anche cose buone” o “Noi però gli abbiamo fatto le strade” hanno dato un contributo divulgativo importante per mettere fine ad alcuni miti sul fascismo e il colonialismo italiano.
Nell’ultimo libro, però, lo storico riflette sugli strumenti comunicativi del presente e sui rischi che comportano. Ed è per questo che nell’incontro del Festival della Divulgazione di mercoledì 29 marzo, alle 21.00 nella Sala Pasolini di Castel Maggiore, dobbiamo aspettarci che Filippi racconti molto del suo ultimo libro, intitolato “Guida semiseria per aspiranti storici social” (Bollati Boringhieri editore).

Al Festival della Divulgazione lo storico Filippi racconta i rischi della storia sui social

Tutto parte da una constatazione, anzi due: agli italiani piace molto parlare di passato e i social network sono diventati – e per certi versi hanno sostituito – le piazze di discussione. Unendo i puntini, quindi, è facile immaginare come sui social si discuta anche di storia, ma mentre al bar o in piazza le castronerie rimangono incastonate nel bicchiere di troppo, il potere mediatico rappresentato dalle piattaforme di Zuckerberg e soci può fare eco a falsi e revisionismi con un pericolosissimo effetto moltiplicatore. E considerando la pervasività dello strumento, il rischio è che le informazioni sulla storia sui social siano quelle preponderanti tra quelle con cui vengono in contatto le persone.

«Più che una ricerca, questo libro è una confessione – racconta ai nostri microfoni Filippi – perché anche io sono stato uno che litigava sui social, e quello che cerco di fare in questo libro è tentare di dare un piccolo decalogo e una serie di suggerimenti per evitare gli errori più grossolani nel modo di parlare di passato nei social».
Il problema di base, secondo lo storico, è che tutti noi sui social siamo degli avatar di noi stessi e raccontiamo noi stessi. Quindi quando parliamo di passato sui social, in realtà stiamo parlando di noi stessi. «È una questione di rappresentazione – spiega Filippi – Noi ci raccontiamo e quando lo facciamo dobbiamo capire cosa stiamo dicendo di noi stessi».

Un esempio del discorso arriva dall’attualità recente, in particolare dalle dichiarazioni della premier Giorgia Meloni alla commemorazione della strage delle Fosse Ardeatine. Meloni ha sostenuto che le vittime della strage fossero state uccise perché italiane. In realtà i fatti non sono andati così, le persone furono trucidate perché antifasciste, ma quelle dichiarazioni sono diventate l’occasione per una vera e propria rissa sui social, che ha coinvolto milioni di persone.
«La lettura di Meloni è diventata immediatamente una clava retorica – osserva lo storico – Immediatamente si è persa la necessità di parlare di cosa significasse questo messaggio e si è iniziato a parlare di questo messaggio con una base di discussione che è diventato uno scontro».

La domanda retorica che si pone Filippi è: queste risse parlano di passato o, prendendo a pretesto il passato, parlano di come siamo noi nel presente? E di come utilizziamo il passato per raccontarci nel presente? «Se ancora ci azzuffiamo per quattro parole sui social su fatti che molto probabilmente molte persone nemmeno conoscono riguardanti il nostro Paese ottant’anni fa, quello che stiamo facendo non è storia, ma è politica spiccia», sottolinea lo storico.

Tuttavia Filippi mostra una vena ottimista rispetto ai social. Se è vero che i pericoli e i rischi sono già presenti, è altrettanto vero che i social possono rappresentare un’opportunità. Ed è per questo che lo storico è critico nei confronti di colleghi che snobbano lo strumento. «I social sono un mondo nuovo, con un nuovo linguaggio, che le persone e gli scienziati delle scienze umane devono comprendere perché è un mondo quello che ci si sta aprendo davanti e chiudersi nella torre d’avorio è un rischio, perché si abbandona un campo in cui invece persone che sanno fare molto bene il proprio lavoro possono fare molto bene alla società che sta loro attorno».

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