Nel dicembre scorso, prima che il governo Conte bis cadesse, il Parlamento approvò la legge 173 con cui venivano modificati i decreti sicurezza ed immigrazione del precedente governo, quando al Viminale siedeva Matteo Salvini. La modifica dei decreti Salvini, poi diventati legge, era una delle istanze fortemente richieste dalle associazioni che si occupano di diritti dei migranti e da tutta quella fetta della società che non condivideva la linea adottata dal leader della Lega.
Non senza fatica, l’esecutivo arrivò alla riforma, ma un monitoraggio sulla sua applicazione effettuato dal Forum per cambiare l’ordine delle cose rivela che in molti casi non viene applicata.

Decreti sicurezza, la riforma resta inapplicata

Sono diversi i punti con cui la legge 173/2020 modificava le leggi Salvini. Anzitutto prevedeva la sostanziale reintroduzione del permesso umanitario con la nuova ridefinizione del permesso per “protezione speciale”. Assieme a questo si stabiliva l’ampliamento dei casi di convertibilità per alcune tipologie di permessi di soggiorno in permessi per lavoro, l’iscrizione all’anagrafe anche per i richiedenti asilo, il ripristino di un sistema di accoglienza e integrazione a cui possono, nuovamente, accedere anche i richiedenti asilo e l’introduzione del nuovo sistema di accoglienza e integrazione (Sai) che, come il precedente sistema (Sprar), ripropone un modello di integrazione diffuso sul territorio con il pieno coinvolgimento dei Comuni italiani.

Per verificare l’applicazione della riforma, diverse realtà che aderiscono al Forum per cambiare l’ordine delle cose hanno effettuato un monitoraggio sul campo in sedici città, dove è emerso che centinaia di persone che avevano già subito le conseguenze dei decreti sicurezza continuano a essere intrappolate in un limbo giuridico e di irregolarità a causa delle prassi degli uffici immigrazione delle Questure e delle Commissioni territoriali per la protezione umanitaria.
«Le richieste di protezione speciale sono bloccate – scrive il Forum – come i casi pendenti e i rinnovi dei permessi di soggiorno. Il motivo di questo stop al cambiamento, pur promosso dalla normativa recentemente approvata, è da rintracciare nell’assenza di indicazioni pratiche da parte dell’amministrazione centrale: una mancanza che lascia spazio a prassi illegittime da parte delle Questure e delle Commissioni territoriali».

Ai nostri microfoni Gianfranco Schiavone, vice-presidente dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione e membro del Forum, spiega che il problema principale riguarda il riconoscimento della protezione speciale. In particolare, la nuova normativa prevede il “diritto di non sradicamento“, che prevede il riconoscimento della protezione per quelle persone che hanno già una rete di relazioni stabili nel nostro Paese.
«In Italia purtroppo esistono dei poteri – osserva Schiavone – che esercitano la loro influenza aldilà dell’ordinamento democratico, in questo caso aldilà dell’ordinamento legislativo». Ed è paradossale che sia l’amministrazione dello Stato stesso a boicottare l’applicazione di una legge dello Stato.

Il giurista ricorda la circolare diramata dal Ministero degli Interni presieduto da Luciana Lamorgese, dichiarata illegittima da diversi tribunali, tra cui quello di Bologna, che indica alle questure di non prendere le domande di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. «Il Ministero sostiene che il permesso è conseguente all’esito di riconoscimento della commissione territoriale – continua Schiavone – Ma la nuova norma prevede anche un altro canale, più snello e diretto da parte delle questure, previo semplice parere delle commissioni territoriali, laddove sono evidenti gli indici di inserimento delle persone, in modo da evitare che passi un altro anno o si ingolfi il procedimento»

Il Forum ha scritto una lettera aperta al Ministro Lamorgese, ai sottosegretari agli Interni, ai capo dipartimenti della Pubblica sicurezza, per le Libertà Civili e l’immigrazione e al presidente della Commissione Nazionale Asilo, ma per ora non ha ricevuto risposta.
È importante che, a fianco dei ricorsi presentati da richiedenti protezione internazionali, vi sia una campagna politica e dell’opinione pubblica che chieda l’applicazione della legge già in vigore. «Altrimenti, come sempre succede, per una persona che ha il coraggio e le condizioni per fare una causa – conclude Schiavone – ce ne saranno altre dieci che vivranno nel silenzio, nella paura e nell’incertezza».

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIANFRANCO SCHIAVONE: