In scena fino al 6 febbraio al Teatro Comunale di Bologna Tosca che inaugura la nuova stagione. Sul podio il maestro Daniel Oren che riesce a far risaltare ogni sfumatura della partitura valorizzando le qualità della nostra orchestra cittadina. Regia, scene e costumi, ispirati alla tradizione, sono firmati dal regista argentino Hugo De Ana. La scena è tutta per Maria José Siri, nei panni di Tosca, chiamata al bis di “vissi d’arte” e per Roberto Aronica, Cavaradossi, che non si fa scappare l’occasione di rivaleggiare con la collega bissando, a propria volta “E lucevan le stelle”.

Tosca si avvia con tre accordi identificati come “Il tema di Scarpia”, si entra subito in medias res, senza preamboli, in questo allestimento abbiamo appena il tempo di scorgere nella penombra alcuni elementi dell’imponente scenografia composta da una porta di bronzo sulla sinista, un enorme braccio scultoreo con i nervi a vista che entra da destra e domina l’intero palco reggendo in mano una lancia o un frammento di altra arma, una croce d’altare sbilenca, un quadro, prima di essere investiti dalle vicende narrate. A poco a poco fasci di luce lasciano intravvedere una seconda porta bronzea a destra, checonduce nella cappella della marchesa Attavanti, là dove entra il fuggiasco Angelotti cercando riparo dai suoi carcerieri provvisto di vettovaglie dal pittore suo amico Mario Cavaradossi.

Hugo De Ana ha creato una scena interessante con le sculture di mani e avambracci e le pesanti porte e le croci raccontando, con pochi tratti, anche di un momento storico particolare della Roma papale, in cui il Papa non è a Roma. Nell’anno 1800 in cui è ambientato il dramma La Tosca di Sardou, Napoleone aveva infatti deportato papa Pio VI Braschi un anno prima, la città nel frattempo era stata conquistata da una coalizzione austro- russa, il successore di Pio VI non era ancora stato eletto e nella città si muovevano personaggi fedeli agli ideali giacobini- volteriani dell Repubblica Romana ormai sconfitta che, sia la Curia che i funzionari di polizia del Regno di Napoli atti a proteggere il Vaticano, tenevano a reprimere. Da qui forse, l’idea registica di dipingere una Roma fortemente ancorata nella tradizione cattolica con le processioni, le croci e gli altari, ma in un momento di debolezza in cui l’eco del bonapartismo ha fatto probabilmente tremare dalle pareti i paramenti sacri e divelto dai cardini qualche granitica certezza.

Impianto scenico e costumi sontuosi sono fortemente radicati nella tradizione operistica e rispettano l’epoca d’ambientazione del lavoro pucciniano, di grande efficacia e raffinatezza sono le luci con cui De Ana ha illuminato scene e volti. Sin dai primi minuti e nei momenti più significativi dei tre atti, le luci di taglio creano un’atmosfera tesa e insieme rarefatta, suscitando emozioni e al contempo cercando di attenuarle, ricontestualizzandole in un passato lontano (almeno per l’Italia), fatto di torturatori e fucilazioni all’alba, di “satiri bigotti” davanti ai quali trema la città intera capaci di ricattare sessualmente qualunque bella donna senza temere d’esserne chiamati a risponderne.

Tosca è un’eroina estremamente moderna nel suo gesto di ribellione al potere di Scarpia. Non cedendo al tentato stupro, persistendo nel fermo rifiuto del sesso con il potente capo della polizia politica e mostrando disgusto per la sua persona, afferma l’autodeterminazione femminile e il diritto all’autodifesa di fronte ad una violazione del diritto all’integrità fisica e morale della donna. E’ donna nell’anno 1800, Floria Tosca è di estrazione popolare, una ex pecoraia, se pure diventata cantante acclamata, amante di un pittore di idee giacobine che a sua volta nasconde un evaso. Gli elementi per essere esposta al ricatto ci sono tutti, eppure anche quando si rende conto che pure da morto Scarpia ha esercitato il suo potere per toglierle l’unica gioia rimastale, non si abbandona alla disperazione, ma si rende protagonista della propria morte decidendo di buttarsi da Castel sant’Angelo prima di essere catturata e uccisa per il delitto commesso.

Come Puccini rimase affascinato dal dramma di Sardou recitato a Milano, nel 1889, dalla immensa Sarah Bernhardt, in francese, anche noi a 122 anni dalla prima pucciniana, non riusciamo a distaccarci emotivamente dalla potenza della vicenda che ci parla ancora di temi solo in parte sono “risolti” dall’affermazione dello stato di diritto, da carte dei diritti umani e convenzioni internazionali quali l’intreccio tra potere, violenza e sopraffazzione, il diritto a un giusto processo, a una difesa, alla vita, alla già ricordata integrità fisica e all’ autodeterminazione.

Ogni prima poi porta con sé l’emozione della serata glamour e la curiosità rispetto a come gli interpreti prescelti dalla produzione interpreteranno il proprio ruolo, ciascuno/a portando nel cuore, e nella memoria uditiva, tracce degli ascolti precedenti che si concentrano spesso sui brani più iconici, eseguiti anche in forma di concerto.

Daniel Oren, intervistato da Andrea Maioli per il libretto della serata, confessa la sua predilezione per Raina Kabaivanska, pur riconoscendo la grande Callas come “la Bibbia” delle Tosche, a sua volta citando Bernstein. Di fronte a nomi tali da far tremare le ginocchia, ogni cantante, nell’intraprendere il viaggio verso Tosca deve fare i conti con i fantasmi uditivi nelle orecchie del pubblico. La Tosca di Maria José Siri, è deliziosamente gelosa sin dalle prime battute, piccata quando serve con l’amante, senza perdere in dolcezza e grazia per tutto il primo atto, capace poi di mostrare forza determinazione, capacità di resistenza alla brutalità di Scarpia nel secondo.

Se uno dei difetti lamentati spesso negi allestimenti di Tosca è quello di trovare interpreti che gridano e sbraitano troppo “credendo di intensificare l’effetto drammatico” come scrive nel suo saggio “Tosca, cent’anni dopo” Alfredo Mandelli, questo difetto non si può ravvisare in questa misurata messa in scena in cui Maria José Siri solo in precisi e rari momenti si concede piccoli strappi con la voce sui finali, o momenti di grande impeto e vicini al grido, se ci fosse il parlato al posto del canto. Per la maggior parte tratteggia una Tosca lucida, calma anche nei momenti drammatici, una donna innamorata, ma non per questo incapace di ragionare e prendere rapide decisioni, di cogliere le occasioni per agire. Fa sorridere la sua capacità di insistere con l’amante, con delicata determinazione, “ma falle gli occhi neri”, riferendosi al dipinto che Cavaradossi sta realizzando, che sembra immortalare la bella marchesa Attavanti dagli occhi azzurri. Così davanti all’orrido Scarpia tenta varie strade nel corso dei diversi incontri, sempre con misurata compostezza e fermo proposito di non cedere alle lusinghe. Siri riesce ora a intenerire, come donna inutilmente gelosa e sospettosa, ora a commuovere per la sua caparbia ostinazione nel rifiuto di concedersi. E’ riuscita a dare al suo personaggio molte sfaccettature senza abbandonarsi affatto al clichè della violenza. Anche nel terz’atto, quando incontra l’amato, Tosca è carica di sogni e speranze progettando la fuga e con amore e fierezza d’artista insiste che lui interpreti teatralmente la morte quando i fucili spareranno a salve. Poco dopo sarà la fierezza di donna ingannata, ma non domata, a darle la forza di inveire contro Scarpia prima di gettarsi nel vuoto. Ogni passaggio drammaturgico è reso con precisione e in ogni momento, anche il più drammatico, Siri mantiene un tocco di delicatezza nell’atteggiamento e nella voce.

Lunghissimo è l’applauso che ha accolto il “vissi d’arte” del secondo atto e, nella giornata del bis istituzionale, anche in sala sono fioccate le richieste di bis, puntualmente eseguito quasi con maggior tranquillità, garbo, e riuscita vocale della prima esecuzione. Non poteva non concedere il bis anche il collega Roberto Aronica nel terz’atto per “E Lucevan le stelle”, l’applauso del pubblico era effettivamente convinto al termine dell’aria così struggente sul solo di clarinetto e, dopo un lungo sguardo scambiato con il direttore, è stato eseguito anche questo bis, molto apprezzato da tutto l’uditorio.

A onor del vero Aronica è stato applaudito a scena aperta anche dopo la sua prima aria, nel primo atto, interpretata con tocco lieve e delicato, ed ha effettivamente offerto un’interpretazione impeccabile in tutta l’opera, con voce potente senza sbavature.

Dello Scarpia di Erwin Schrott va notata la forza vocale e la grande presenza scenica nell’ interpretare questo personaggio che affascina proprio perchè rappresenta il male, la violenza fine a se stessa e che è anche il primo personaggio della storia dell’opera totalmente negativo.

Degno di nota il finale del primo atto: Scarpia illuminato di taglio mentre l’organo suona e si odonoquindi lievi arpeggi di arpa e rintocchi di campane, all’ apertura della processione del Te deum. C’è un contrasto insieme stridente e geniale tra la sontuosità dei costumi dei figuranti che impersonano i vescovi e la curia romana e il coro, sobrio, vestito di nero, da concerto in abiti dei giorni nostri, il tutto immerso nella nebbia come a una reale processione invernale per le stade, tra sacro e profano, tra lontano e vicino, confondendo ieri e oggi, la ciclicità della tradizione che è teatrale e appariscente oggi come allora.

Musicalmente ben riuscita è anche la scena dell’interrogratorio condotto da Scarpia nei confronti di Cavaradossi nel secondo atto, mentre s’ode, da fuori scena, il canto del coro e della bella Tosca che è altrove, su di un altro palcoscenico che non vediamo, ad eseguire quel che è rimasto nel libretto di Giacosa e Illica, quindi nella partitura pucciniana, di ciò che nella trama originaria doveva essere una cantata in onore della creduta vittoria del generale austriaco Melas su Bonaparte. La luce filtra idealmente nella stanza dell’interrogatoio da finestre a feritoia, cupo è l’effetto sia scenico che musicale. Il tessuto orchestrale è denso, drammatico, il potere si esprime attraverso torture, percussioni scandiscono il tempo mettendo insieme i due universi musiciali che si compenetrano: l’uno quasi parlato, con frasi taglienti e affilate, completamente maschile, l’altro trionfale e melodioso, con timbri acuti e femminili.

La tentata violenza, la vergogna di Tosca che attacca il “vissi d’arte” coprendosi pudicamente con il mantello come a voler concentrare la nostra attenzione sul suo racconto e quindi sulla sua voce, celando quel corpo oggetto di tanta attenzione e attacchi millennari, sembra cosa lontana mille miglia da quello che poco più di un ora prima avveniva nel foyer, mentre i fotografi delle testate locali scattavano a più non posso foto ai vip nei loro abiti appositamente predisposti per la serata e si esibivano corpi e gioielli e certo nessun discorso verteva sulla violenza maschile perpetrata sui corpi delle donne.

Questa Tosca ha un cast di primo livello, specie per i tre principali interpreti sopra citati e una direzione musicale impeccabile. L’orchestra è riuscita a far risaltare ogni frammento della partitura, ogni controcanto, ogni cambio di atmosfera. La scenografia mi ha convinta, tranne che per alcuni fondalini dipinti fatti calare in determinati momenti, quelli davvero molto all’antica italiana, il piano luci superbo, i costumi fin troppo tradizionali, per quanto coerenti con l’allestimento scelto. Lo spettacolo in platea durante gli intervalli è stato poi davvero delizioso. Non posso che raccomandare a tutte e tutti di affrettarsi a richiedere i biglietti rimasti per le prossime recite fino al 6 febbraio e augurare buona visione e buon ascolto.