Due giorni fa il presidente francese Emmanuel Macron ha proclamato lo stato di emergenza in Nuova Caledonia, l’ex colonia francese nell’Oceano Pacifico. La misura è arrivata dopo la terza notte in preda a violenti scontri per la protesta contro una riforma elettorale controversa, che hanno provocato la morte di 4 persone, fra cui un gendarme, e centinaia di feriti.
L’Alto Commissario francese Louis Le Franc ha denunciato il rischio di una guerra civile e l’atmosfera è proprio quella che si respira, oltre a una battaglia anticoloniale.
Rivolte coloniali e guerra civile: cosa succede in Nuova Caledonia?
A raccontare quello che sta accadendo in Nuova Caledonia è, ai nostri microfoni, Giacomo Marchetti, giornalista di Contropiano.
«Stiamo parlando di un cosiddetto territorio d’oltremare, ciò che in Francia si definisce Dom-Tom (Départements d’outre-mer, ndr) – spiega Marchetti – In realtà è una vera e propria ex colonia che si trova nel Pacifico, è un arcipelago dove vive una popolazione autoctona che ha subìto uno dei processi di colonizzazione prima e soggiogamento politico poi più lunghi della storia».
Un processo che portò allo sviluppo di un movimento indipendentista anche armato che sembrava risolto tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 nel secolo scorso con l’inizio di un percorso di decolonizzazione, previsto anche da una risoluzione Onu.
Quel meccanismo, però, negli ultimi anni si è inceppato e Marchetti individua due principali ragioni. «La serie di accordi che erano stati siglati prevedevano la possibilità di tenere tre referendum in cui la popolazione potesse esprimersi a favore o meno dell’indipendenza – spiega il giornalista – Se ne sono tenuti due e il secondo, nel 2020, aveva dato parere favorevole all’indipendenza, ma con una grossa forzatura Macron ha voluto far svolgere il terzo durante la pandemia, nel 2021». Il referendum è stato boicottato dalla maggior parte delle organizzazioni indipendentiste e questo ha provocato una prima frattura.
La seconda ragione, più recente, riguarda una riforma elettorale voluta da Parigi che darebbe il diritto di voto a coloro che risiedono in Nuova Caledonia da almeno dieci anni. «Di fatto – sottolinea Marchetti – francesi che si sono stabiliti nelle zone residenziali. Questo cambierebbe molto gli equilibri politici nell’isola ed è uno stralcio rispetto alle promesse fatte all’interno del processo di pace e di decolonizzazione».
In altre parole Parigi starebbe tentando un’operazione di colonialismo di popolamento, che troverebbe compimento nella riforma elettorale contro cui sono cominciate le proteste nei giorni scorsi.
La situazione, però, è ancora più grave e rasenta la guerra civile per il fatto che i cittadini francesi, insediatisi nei quartieri benestanti, si stanno organizzando e armando in squadre di autodifesa, mentre la popolazione autoctona è stata progressivamente sradicata dal territorio ed è andata a vivere nei sobborghi.
«Mentre nell’84 vedevamo un’insurrezione come ce la ricordiamo rispetto ai vecchi movimenti coloniali che partivano dalla campagna – sottolinea il giornalista – qui ad assediare è proprio il centro della città. Inoltre c’è una questione sociale evidente poiché le condizioni di esistenza della popolazione autoctona non sono migliorate durante questi anni».
Sul fronte geopolitico, infine, il persistente interesse della Francia per i territori della Nuova Caledonia è giustificato dal fatto che là si trova il quarto giacimento più grande al mondo di nichel. «Inoltre il Pacifico in questo momento è un territorio della contesa geopolitica e per Parigi, dopo il Sahel, perdere anche quel pezzo del Pacifico sarebbe un grosso smacco», evidenzia Marchetti.
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