Più o meno sappiamo tutti cos’è stata la schiavitù. Ma probabilmente, nel nostro comune percepito popolare, non è stata interiorizzata appieno la sua crudeltà, né quanto sia stata importante per la formazione dei modi di pensare del nostro mondo attuale. A Bologna, a Palazzo d’Accursio fino al 28 maggio è in esposizione la mostra “Schiavitù e tratta: vite spezzate tra Africa e Americhe. Una ricostruzione storica”, promossa da Biblioteca Amilcar Cabral e dal Settore Biblioteche del Comune di Bologna. Abbiamo intervistato la professoressa Maria Cristina Ercolessi, che ha coordinato il comitato scientifico della ricerca che ha partorito la mostra, e che ha visto lavorare in equipe studiosi italiani e senegalesi.

Il viaggio della tratta atlantica in mostra a Palazzo d’Accursio

Le tratte degli schiavi furono più di una. In questa mostra è stata studiata quella atlantica. Pur essendo quindi solo una parte del fenomeno, i numeri sono impressionanti, più di 10 milioni di schiavi arrivati in America, purtroppo al netto delle numerose perdite dei compagni morti nel viaggio.

Caratteristica particolare della tratta atlantica rispetto alle altre (transahariana e asiatica) è il fatto che, a partire dal 1500 circa, la condizione di schiavitù viene associata al colore della pelle. Questa consuetudine venne poi suffragata dalla scienza, che nel corso del ‘700 stabilì delle graduatorie di superiorità e di conseguenti inferiorità di alcune razze (che oggi chiameremmo “etnie”) rispetto alle altre. Proprio per questo aspetto, la tratta atlantica è stata determinante per lo sviluppo delle ideologie razziali. Su tale presupposto è stato costruito il cosiddetto “ordine atlantico”, vale a dire un ordine globale atlantico che accomuna Africa, Americhe e Inghilterra in una divisione delle razze secondo precisi ordini gerarchici.

ASCOLTA L’INTERVISTA A MARIA CRISTINA ERCOLESSI:

Le analogie col nostro mondo attuale sono evidenti: si creano presupposti senza fondamento per motivi economici, e la scienza si arrampica sugli specchi per argomentare qualcosa al fine di sorreggere le dinamiche economiche, originatesi in seguito ad atti di violenza. Lo schiavo cercava disperatamente di migliorare la propria condizione, ribellandosi e ammutinandosi. In vari casi, gli schiavi fuggivano dalle piantagioni e formavano comunità indipendenti che si autogovernavano, anche per molto tempo.

La mostra si sviluppa in uno spazio di 16 metri, con pannelli che illustrano il viaggio dello schiavo dalla cattura ai vari smistamenti, fino alla destinazione d’arrivo. Ci saranno anche contributi sonori di quattro personaggi (tre schiavi e uno schiavista) che testimonieranno “in prima persona” le dinamiche della tratta dalla loro personale visuale.

Ricordiamo quindi che la mostra sarà visibile fino al 28 maggio in sala Ercole a Palazzo d’Accursio. Orari: martedì-mercoledì-giovedì-sabato dalle 12 alle 18.30, il venerdì dalle 14 alle 18.30.

Per qualunque informazione sul programma della mostra è consultabile il sito della Biblioteca Amilcar Cabral.

Sergio Fanti

CONTINUA AD ASCOLTARE L’INTERVISTA A MARIA CRISTINA ERCOLESSI:

Articolo precedenteBologna Sport: game over per la Fortitudo
Articolo successivoDisco della Settimana: We are an Island, il sognante debutto dei Lomii