Da un lato le infermiere in Georgia e in Bulgaria che durante la pandemia hanno lottato per migliorare le proprie condizioni di lavoro e rifiutato dei salari da fame per l’assioma che le donne sarebbero dedite alla cura “per natura”, dall’altro la lotta delle migranti ucraine o rumene arrivate in Austria con l’apertura temporanea di corridoi che si sono viste sequestrare i documenti per garantire la quarantena. E altre lotte ancora, nate soprattutto nei Paesi dell’est europeo o extraeuropeo. È da queste rivendicazioni e dalla necessità di connetterle ad altri contesti che nasce il “Manifesto dello sciopero essenziale“, un documento lanciato dal network East (Essential Autonomous Struggles Transnational) che fa parte del Transnational Social Strike Platoform.

Femminista ed essenziale: lo sciopero dell’8 marzo

Il Manifesto, che è già stato tradotto in 17 lingue, è stato discusso ieri pomeriggio in un evento organizzato da Non Una Di Meno Bologna all’interno del percorso che porta il movimento femminista e transfemminista verso lo sciopero dell’8 marzo.
«Il manifesto e lo sciopero essenziale – spiega ai nostri microfoni Paola Rudan di Nudm Bologna – rovescia il senso di “essenziale”: se i lavori essenziali sono stati i più sfruttati, quelli pagati peggio, quelli che hanno visto l’estensione maggiore delle condizioni razziste dello sfruttamento, essenziale diventa la lotta». In altre parole si vuole rovesciare il senso della “essenzialità” femminile e migrante, che condanna queste soggettività allo sfruttamento ancora più intenso, in una lotta.

Dopo lo stop dettato dalla pandemia nel 2020, Non Una di Meno tornerà quindi a proporre lo sciopero dal lavoro produttivo e riproduttivo per la giornata dell’8 marzo.
A Bologna la prossima tappa verso quell’appuntamento sarà domenica prossima, 21 febbraio, alle 14.30 in piazza dell’Unità, quando si terrà un’assemblea pubblica. «Daremo spazio a tutta una serie di situazioni che reclamano con urgenza questa lotta, a causa delle condizioni di vita e di lavoro cui sono costrette, tanto più nella pandemia», sottolinea Rudan.
Ad anticipare l’appuntamento di domenica ci sono state assemblee e tavoli tematici che hanno ragionato anche su come riportare al centro dell’attenzione il “Piano femminista e transfemminista contro la violenza” elaborato dal movimento ormai alcuni anni fa.

La dimensione transnazionale è quella su cui anche le femministe italiane continuano a muoversi, allo scopo di trovare un linguaggio comune nonostante la differenza dei contesti. «Ciò che ci accomuna – continua l’attivista – è una battaglia contro le condizioni patriarcali e razziste della società neoliberale».
A questo proposito, Non Una di Meno punta i riflettori anche sul Next Generation Eu, il cosiddetto Recovery Fund, che rischia di ripianificare le condizioni della riproduzione sociale che, visti anche i dati della perdita di occupazione femminile e della violenza di genere durante la pandemia, rischia di giocarsi sulla pelle delle donne e delle soggettività non conformi.

ASCOLTA L’INTERVISTA A PAOLA RUDAN: