Il Libano sta vivendo un collasso economico sempre più drammatico, con il prezzo della benzina che continua ad aumentare fino a 15 dollari per 20 litri al mercato nero e la popolazione costretta a sopravvivere con stipendi medi da 3mila dollari all’anno, contro i 17mila dollari di appena pochi anni fa. In questi giorni, inoltre, il carovita ha spinto diverse categorie di professionisti a scendere in piazza e protestare a Beirut come in altre città del Paese. Ma le proteste sono piccole fiammate, perché il fallimento della “rivoluzione” degli anni scorsi e la necessità di provvedere alla sopravvivenza fanno prevalere lo sconforto.

La protesta disillusa in un Libano in crisi profonda

L’ultima manifestazione si è registrata lo scorso 25 ottobre, quando un gruppo di tassisti ha interrotto alcune strade principali nella capitale, nel Monte Libano e a Sidone, 40 chilometri a sud di Beirut.
Le proteste sono cominciate più di due anni fa, quando si è inasprita la crisi economica, e continua a intermittenza e senza mai esaurirsi. «Quella libanese è una situazione complicata che è degenerata dal 2019 e ora sta scivolando verso un baratro – osserva ai nostri microfoni Maurizio Raineri, responsabile dei progetti di WeWorld onlus in Libano – Una crisi che non colpisce solo le fasce più povere delle popolazione, ma ora tocca anche il ceto medio».

«Secondo gli ultimi dati l’82% della popolazione libanese si trova in povertà, i servizi essenziali sono scarsi, sono stati tolti i sussidi governativi ai medicinali e alla benzina, la sicurezza alimentare delle persone è a rischio soprattutto quella dei rifugiati siriani che sono forse quelli che stanno soffrendo di più questa crisi», sottolinea Rainieri.
WeWorld in Libano è presente dal 2006 ed ha all’attivo proprio progetti che puntano a garantire acqua, educazione e supporto a chi fugge dalla guerra in Siria.

Il Paese, già in crisi, rischia però di dividersi ulteriormente: dopo l’esplosione al porto di Beirut dell’estate scorsa, il 14 ottobre Hezbollah e Amal hanno organizzato delle proteste per chiedere la rimozione del giudice si sta occupando del caso e accusato di essere troppo “americanista”.
«Non penso che ci sia una volontà di andare di nuovo verso un conflitto interno – osserva il cooperante – Però la situazione in generale è un brodo esplosivo e questo può facilitare lo scoppiare di tensioni tra fazioni».

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