La direttrice d’orchestra Oksana Lyniv sale sul palco del Teatro Manzoni al concerto del 26 febbraio insieme al Sindaco Matteo Lepore portando la bandiera ucraina e invitando la città a gesti di vicinanza all’Ucraina. Dedica il concerto ai suoi familiari e alla sua terra “ferita nel profondo” ma, come recita l’inno ucraino di cui ha eseguito, in apertura, una versione orchestrale, “l’Ucraina è ancora viva”.
Il teatro Manzoni è tutto esaurito, il pubblico si alza in piedi e applaude per esprimere solidarietà al popolo ucraino e per non far sentire sola Oksana Lyniv che ha visto in questi giorni piovere bombe sulla città in cui è nata ed è in pena per familiari e per tutti i suoi connazionali. La bandiera ucraina poggiata sul podio, dopo la toccante esecuzione dell’inno viene ripiegata e riposta ai lati del palco, ma resta presente nella fascia in vita della direttrice.
Osservando il pubblico in sala nessuno appare contrariato/a per l’irruzione della così detta vita reale nella sala da concerto, una guerra non si può lasciare fuori dalla porta di un teatro e anzi l’arte è per sua natura un gesto di presa di posizione politca nei confronti della realtà in quanto sua interpretazione. E’ stato naturale che il Teatro Comunale di Bologna fosse quasi il luogo in cui proseguisse la manifestazione per la pace occorsa il giorno precedente in Piazza Maggiore e che gli orchestrali, i dirigenti del teatro, il sindaco e la cittadinanza tutta si stringesse alla nuova concittadina ucraina venuta a dirigere la nostra orchestra e, attraverso di lei, a tutta la comunità ucraina di Bologna.
Il concerto, carico di tutto il suo portato emozionale legato alla situazione internazionale, si incanala verso il programma prestabilito che è in realtà altrettanto denso di tensioni e davvero ben studiato.
Ad apertura del programma ufficiale l’orchestra ha eseguito l’Adagio per archi di Samuel Barber composto nel 1936 eseguito per la prima volta a New York nel 1938 diretto da Toscanini ed assunto come brano evocante ufficialmente il lutto visto che fu eseguito sia ai funerali di Roosvelt che a quelli di J.F. Kennedy e Einstein.
Ogni ascolto del brano, come diceva anche il compositore William Schuman è “sempre un’esperienza. Per me non è un cavallo di battaglia, è qualcosa che mi commuove nel profondo”. Ascoltarlo in sala da concerto, con la concentrazione e il silenzio è davvero impagabile, permette di notare elementi che l’ascolto distratto non permette di cogliere e questo brano sentito e risentito in televisione, in colonne sonore è uno di quei pezzi che rischiano di sembrare solo una cosa già nota a cui non vale la pena prestare la dovuta attenzione.
Così diventa una grande emozione un passaggio del tema dai violini ai violoncelli e il lento crescendo fino all’acuto massimo di sospensione, il cambio di ritmo, il lento ridiscendere fino a morire del suono.
La prima parte del concerto si completa con il Concerto per clarinetto e orchestra di Aaron Copland anch’esso eseguito per la prima volta nella città di New York nel 1950. Il concerto è in due movimenti: il primo slowly ad expressively provoca un certo spaesamento per la difficoltà di afferarne il disegno al primo ascolto, nel generale clima malinconico; il secondo è un rondò Rather fast molto dinamico, gioioso, che unisce melodie brasiliane ad altri materiali melodici della musica popolare del nord america con scoppi di puro Jazz di grande divertimento e momenti più meditativi dalla narrazione più classica. Funge da elemento cerniera tra i due momenti del concerto una cadenza del solista, Alessandro Carbonare, primo clarinetto dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia dal 2003 già primo clarinetto dell’Orchestra National de France per quindici anni e collaboratore dei Berliner e della Chicago Synphony.
L’assolo incuriosisce e diverte, ma è la seconda parte del concerto di Copland a sorprendere veramente l’uditorio già dall’attacco dei violini immediatamente dopo la chiusa della cadenza e con l’aggiunta del pizzicato dei contrabbassi e l’uso percussivo dell’arpa. Il gioco di alternanze tra le sezioni di strumenti entusiasma: quando i contrabbassi accompagnano il canto dei clarinetti e si aggiunge il suono acutissimo dei violini, poi solo i clarinetti con i bassi del pianoforte e parte un botta e risposta tra gli strumenti fino ad un fortissimo collettivo con note violente, quasi stridenti e bassi “schiaffeggiati”, suoni percussivi senza le percussioni e le “sbavature”, in gergo smear, del clarinetto nella coda a chiudere, annunciando, a metà del secolo scorso, un grande meticciamento musicale in atto tra vecchio e nuovo mondo, tra musica folclorica e Jazz.
La seconda parte del concerto è interamente dedicata alla Sinfonia n. 9 in Mi minore op 95 “del Nuovo mondo” di Antonin Dvořák. Se pure facendo un balzo indietro nel tempo al 1893, anche questa composizione vide la sua prima esecuzione a New York, come le due precedenti all’interno del programma musicale. Dvořák aveva esortato i suoi colleghi americani a utilizzare per le composiioni melodie dei nativi d’America e dei Neri affermando così che anche la musica “nera” era “americana”. In questa sinfonia unisce temi “indiani”, ispirazioni dovute alla frenesia della vita newyorkese, con profonde radici boeme.
La sinfonia è travolgente, l’esecuzione convincente. La direttrice ha gesti estremamente comunicativi e sembra ottenere esattamente quello che desidera dalle sezioni strumentali e dall’ensamble. L’allegro molto iniziale, eroico produce fremiti ad ogni intervento delle percussioni e fa precipitare nel mare della dolcezza all’apparire dei frammenti tematici eseguiti dai flauti traversi ripresi dai violini o da altre sezioni fino al seguente rullo percusssivo. Il secondo movimento Largo ha un magnifico assolo d’oboe, nello sviluppo si trasforma in una polca ceca con contenuti momenti esplosivi percussivi fino al ritorno ad uno struggente pianissimo con chiusa di contrabbasso. Il terzo movimento Scherzo – Molto vivace fa riferimento ad uno spirituals Speak low, sweet chariot e richiama le danze frenetiche dello stregone Pau-Puk-Keewis portando la forza percussiva al culmine. Il Quarto movimento colcusivo Allegro Con fuoco ha una potenza incredibile, si colgono riprese di lacerti tematici sentiti in precedenza sviluppati in modi differenti, ogni sezione tematica ha momenti virtuosistici di rilievo portati sia sul versante della delicatezza e dolcezza che della frenesia e dell’impeto.
L’esecuzione è decisamente riuscita, il concerto è un successo, al termine la direttrice recupera ancora una volta la bandiera ucraina e saluta il pubblico che la ripaga delle emozioni della serata sostenendola calorosamente in questo momento così difficile.
Il 26 febbraio 2022 dovrà essere ricordato come il ritorno all’identificarsi della città con il suo teatro e al percepire il teatro come una piazza della città ed i suoi artisti come voci autorevoli che portano il mondo all’interno della città e la città nel mondo.