È stato presentato al Biografilm di quest’anno Ithaka: A fight to free Julian Assange, un film di Ben Lawrence. Per l’occasione abbiamo incontrato Stella Assange, prima avvocata e poi moglie del fondatore di WikiLeaks, Stefania Maurizi, giornalista del Fatto Quotidiano e autrice del libro “Il potere segreto”, e l’attrice Laura Morante.

Il film, girato in gran parte durante la pandemia, esce dopo la recente la sentenza che ha respinto l’appello di Assange per evitare l’estradizione (e ancora non si sanno le sorti dell’ultimo appello), e narra la prigionia di Assange in questi ultimi anni. Confinato in un carcere di massima sicurezza, in una cella di due metri per tre, con un’ora d’aria al giorno e visite e telefonate razionate, Assange non ha potuto nemmeno leggere i documenti del suo processo.

Politicamente, nel corso delle presidenze degli Stati Uniti Obama ha sostenuto Assange; Trump, refrattario ad ogni forma di giornalismo che non sia adulatorio, l’ha osteggiato duramente; Biden, invece, non ha preso una posizione (ma Stella Assange riferisce che, tra i democratici, molti sarebbero disposti a concedere l’amnistia se venissero eletti).

La campagna di disinformazione sul caso Assange è partita almeno da dieci anni: prima è stato accusato di stupro (ma non si è mai arrivati nemmeno a un processo), poi di essere un pupazzo di Putin, successivamente di Trump e infine puntando alla sua immagine personale. Alla fine, molti lo hanno abbandonato: o perché hanno creduto alle accuse o perché intimoriti. Assange, però, non è stato solo screditato: lui e la sua famiglia sono stati spiati nel privato, effettuando esami del Dna sul figlio, e si parla persino di un tentativo della Cia di avvelenarlo.

Se nei regimi totalitari è normale prendersela con i giornalisti che rivelano corruzioni e nefandezze dei potenti, ci si aspetterebbe che in un sistema democratico questo non avvenga. Come è dunque possibile accusare Russia, Iran, Cina e altri di sopprimere la libertà di stampa, per poi macchiarsi delle stesse colpe? Questa è la principale argomentazione in favore di Assange.

In questo panorama non è difficile pensare che i nervi possano cedere, e il rischio di forte depressione e suicidio al momento sono gli unici motivi per cui è slittata l’estradizione. Cosa faranno Stella Assange e gli attivisti impegnati a sostenere Julian nel caso venisse confermata? Stella non ha esitazioni: continuerà a lottare fino alla libertà.

Laura Carroli